Aiutò l'assassino a nascondere il cadavere. Nell'appello-bis condannato a 5 anni anche per omicidio

L’avvocato della famiglia: "Un delitto efferato, restituita dignità alla vittima"

Aiutò l'assassino a nascondere il cadavere. Nell'appello-bis condannato a 5 anni anche per omicidio
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Il corpo di Filippo Incarbone fu ritrovato a un mese dal delitto, incastrato tra i tronchi nei pressi di lanca Ayala, un’area utilizzata come darsena per l'ormeggio di piccole imbarcazioni, a febbraio di due anni fa.

Era stato ucciso nella notte tra il 4 e il 5 gennaio dello stesso anno in una casa di Vigevano: pestato a calci e pugni, nel corso di una discussione con due conoscenti, Michael Mangano e Gianluca Iacullo, con cui aveva passato la serata tra droghe e alcol.

Un pestaggio a seguito del quale l’autotrasportatore, 49 anni, che aveva problemi cardiaci pregressi, perse la vita.

Per quell’omicidio ieri si è chiuso un nuovo capitolo dell’intricata vicenda giudiziaria. Si tratta della condanna inflitta a Gianluca Iacullo, 46 anni, che dovrà scontare 5 anni e due mesi per ordine della corte d’Assise d’Appello di Milano, che ha emesso il verdetto al termine del processo d’appello bis. «La sentenza odierna restituisce dignità alla vittima di un così efferato delitto», le parole di Gian Luigi Tizzoni, l’avvocato dei fratelli della vittima, che si sono costituiti parte civile.

Uno dei due imputati, Mangano, è morto suicida dopo la condanna di primo grado (in abbreviato) a 8 anni di carcere. Fu lui - secondo la ricostruzione dell’accusa - a pestare attivamente Incarbone fino a provocargli un infarto. E sua era la casa di Vigevano dove morì l’autista, il cui corpo fu gettato nel fiume con l’intenzione - da parte di entrambi gli imputati che non risalisse più in superficie. L’altro imputato, Gianluca Iacullo, ritenuto uno spettatore del delitto, ma parte attiva nell’occultamento del cadavere, era stato condannato in appello a Milano a un anno e 4 mesi di carcere solo per il secondo reato. Ma la sentenza fu annullata dalla Cassazione.

Per i giudici della Suprema Corte, infatti, i giudici d’appello non spiegavano come la «sudditanza psicologica» di Iacullo rispetto a Mangano nel compimento del delitto, sia diventata, successivamente, «una libera scelta partecipativa» quando si trattò di trasportare il corpo fino al fiume per distruggerlo. E occorreva quindi un nuovo processo di secondo grado proprio per spiegare «la genesi e il mutamento repentino» dell’atteggiamento psicologico di Iacullo che si muoveva entro due fatti diversi (l’omicidio e l’occultamento) «in un unico contesto storico».

Ieri il processo è ritornato nuovamente in corte d’Assise d’Appello e il 46enne, presente in aula, è stato condannato anche per l’omicidio preterintenzionale. Le motivazioni della sentenza tra 90 giorni.

L’avvocato Santopietro potrebbe impugnare il verdetto in Cassazione.

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