Tre dipendenti del Caf in provincia di Lecce, secondo l'indagine della Guardia di Finanza, avrebbero propiziato l'accesso al reddito di cittadinanza per 301 immigrati senza requisiti con lo scopo di recepire un contributo variabile dai 100 ai 150 euro dall'Inps per ogni nuovo percettore. Così facendo avrebbero accumulato - in totale - dai 30 ai 40mila euro, circa 10 e 15mila euro a testa. È la novità emersa oggi nell'indagine delle Fiamme Gialle di Lecce su una frode per circa 2,2 milioni di euro per gli illeciti connessi alla percezione indebita di reddito di cittadinanza.
Come funzionava la truffa
Il modus operandi è presto detto. Ogniqualvolta il dipendente di un Centro di assistenza fiscale prende in carico la richiesta di fruizione del reddito, deve espletare la procedura finalizzata all'eventuale riconoscimento del sussidio. Se va a buon fine, l'Inps riconosce un compenso al dipendente stesso. Compenso che, a seconda del tipo di iter e di passaggi eseguiti, parte da una base di 100 euro ma il più delle volte è superiore.
Attraverso un controllo incrociato delle banche dati Inps e l'anagrafe tributaria le Fiamme gialle, dopo quasi un anno, hanno compreso che, complessivamente, i 3 dipendenti avevano accumulato - in tutto - dai 30 ai 45 mila euro, circa 10 e 15 mila a testa. Il tutto grazie all'operazione truffaldina e alle dichiarazioni fasulle dei 300 e oltre stranieri circa la loro permanenza in italia da 10 anni. Per questo motivo potrebbero rispondere di peculato davanti all'Autorità giudiziaria.
Secondo i controlli effettuati sempre dalla Guardia di Finanza da aprile 2019 fino a luglio 2023, su oltre 50 mila casi verificati in Italia, circa 45mila percepivano la misura irregolarmente. In Cima alla classifica ci sono Lombardia e Calabria mentre in tutta Italia, se si conta il totale di contributi elargiti illecitamente, si giunge a 505.724.724 euro di soldi pubblici sperperati.
Nei primi sei mesi del 2023, le richieste di reddito sono diminuite e con esse anche i contributi riconosciuti ai dipendenti Caf forse perché il decreto Lavoro del governo Meloni ha funto da deterrente dato che era già stato preannunciato l'addio alla misura .
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