Un ex poliziotto, finito nei guai per una vicenda giudiziaria, dovrà restituire 255mila euro: non era infatti solo un informatore del clan, ma un vero e proprio faccendiere, conosciuto tra gli affiliati come "Totore" o "chiattone". "Ha svolto per anni il ruolo di persona a disposizione del clan Moccia - si legge nelle carte dell'inchiesta - sfruttando i poteri investigativi e le informazioni riservate apprese in forza della sua qualifica di assistente capo della polizia".
Cosa è emerso dalle indagini
Il quotidiano Repubblica ricostruisce la storia del 50enne Salvatore Zimbaldi, originario di Casoria, comune in provincia di Napoli, destituito dalla Polizia nel 2020. Adesso la Corte dei conti gli chiede di restituire la metà dei compensi da lui percepiti in dieci anni di attività: ovvero 255 mila euro. A stabilirlo è una sentenza depositata lo scorso 24 novembre che ha tenuto conto di due pronunce in sede penale di primo e secondo grado, oltre all'ordinanza di custodia cautelare.
Dai processi è emerso che il poliziotto risultava "asservito al clan, svolgendo attività tale da valergli una condanna per associazione per delinquere di stampo mafioso". A fronte di ciò, per i magistrati contabili si configura in questo modo il "danno da disservizio", che vuol dire: "La distrazione delle energie lavorative del dipendente dai suoi compiti istituzionali, in favore di attività di carattere illecito di rilievo penale, con conseguente disutilità della spesa sostenuta" dal ministero dell'Interno.
La richiesta della difesa
L'avvocato della difesa ha respinto le accuse e ha chiesto "la sospensione del giudizio in attesa della sentenza definitiva della Cassazione". Il legale ha ricordato i riconoscimenti ricevuti dal suo assistito nel corso della carriera della serietà della sua condotta e della sua diligenza lavorativa. Ha inoltre insistito riguardo la "inattendibilità dei collaboratori di giustizia". Ma per la Corte dei conti "l'assunto difensivo non può essere condiviso, risultando evidente l'alterazione del rapporto lavorativo".
Da quanto ricostruito, sembra che l'ex poliziotto avesse anche "trasmesso i contatti tra esponenti del clan, agevolandone gli incontri". Il poliziotto avrebbe avuto contatti perfino con imprenditori legati ai Moccia. Avrebbe ottenuto favori, come per esempio l'assunzione del nipote in un supermercato. Agli atti c'è anche la frase di uno dei "senatori" della cosca, Angelino Giuseppe: "Gli diamo i soldi". Nell'ordinanza viene sottolineato l'utilizzo della prima persona plurale che dimostrerebbe chiaramente che non si trattava di un rapporto personale tra Angelino e l'imputato ma di una sua collaborazione con il sodalizio criminale.
Come è stato calcolato il danno
La magistratura contabile è arrivata a calcolare il danno erariale partendo dal totale delle retribuzioni ricevute da poliziotto in dieci anni: 510mila euro lordi. Quindi, ne ha contestato il 50%. Viene spiegato che con le sua azioni il poliziotto "ha svilito l'attività investigativa dei colleghi".
Nella sentenza si legge: "La quantificazione così cospicua trova la sua ragion d'essere nella circostanza che non solo ha dedicato buona parte delle sue energie non all'attività lavorativa legata all'appartenenza alle forze dell'ordine che giustificava la retribuzione, bensì all'attiva partecipazione alle illegalità perpetrate dall'associazione camorristica, ma ha fatto anche del proprio meglio per proteggere i gravissimi atti criminali del clan dalle investigazioni compiute dai suoi stessi colleghi".
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