I regimi illiberali odiano l'informazione

L'informazione non è mai un problema, lo è invece la carenza e l'assenza di essa

I regimi illiberali odiano l'informazione

Caro Vittorio,
i sempre più frequenti casi di atti violenti nei confronti delle donne riportano alla luce il problema dell'informazione e le norme della deontologia professionale del giornalista. Ritengo che in questo caso, come in molti altri del recente passato, sassi dal cavalcavia, suicidio con il gas di scarico, terrorismo alimentare, atti di violenza nei confronti di genitori, ecc., il diritto all'informazione debba passare in secondo piano rispetto al diritto di non essere vittima di episodi che sono dei meri atti di emulazione. Se al primo di questi episodi non fosse stato dato ampio risalto dai mezzi di informazione così come in effetti si è verificato, è molto probabile che non avremmo assistito alla catena ininterrotta di azioni vandaliche e criminali. E secondo me altra grave colpa attribuibile ai mezzi di informazione è di non imporre la propria autorevolezza. La stampa, che dovrebbe rappresentare la fonte di informazione principale, senza condizionamenti, al di sopra delle parti, a volte si lascia condizionare da ciò che viene pubblicato in rete a tal punto da essere fin troppo la cassa di risonanza dei social. Ricordiamoci, ma a quanto pare non lo si fa mai a sufficienza, che sui social, su Facebook, addirittura a volte equiparato a mezzo di comunicazione ufficiale, può scrivere qualsiasi individuo, scienziato o ignorante che sia, senza smentita, triste conseguenza dell'assurda teoria «uno vale uno». Ma come si fa a prendere per dogma incontrovertibile qualsiasi scemenza che prima dell'avvento della rete restava limitata nelle quattro mura di un'osteria?
Mauro Luglio
Monfalcone

Caro Mauro,
perdonami ma sono costretto a dissentire su tutta la linea. Cominci la tua lettera scrivendo: «I sempre più frequenti casi di atti violenti nei confronti delle donne riportano alla luce il problema dell'informazione». Il problema dell'informazione? L'informazione, amico mio, non è un problema, semmai è l'assenza, o la carenza, di informazione ad essere un problema serio, dal momento che si traduce in mancanza di libertà, in censura, in uno stato di asfissia della democrazia. Poi scrivi: «Ritengo che il diritto all'informazione debba passare in secondo piano rispetto al diritto di non essere vittima di episodi che sono dei meri atti di emulazione». No, non ci sto, mi dispiace, anzi queste considerazioni mi fanno venire la pelle d'oca e forse sono poco ragionate, in quanto non tieni conto degli effetti davvero deleteri che derivano dalla scrematura a monte, operata da qualcuno che evidentemente si reputa superiore rispetto agli altri esseri umani e cittadini, di notizie che riguardano la realtà e la quotidianità che tutti viviamo, allo scopo di costruire cosa? Una società di gente inconsapevole, che magari si illude di vivere in un mondo migliore rispetto a quello in cui effettivamente campa, di gente che non ha coscienza di pericoli, rischi, verità, o magari, gente da educare, da condizionare, da plagiare e plasmare? Le persone non vanno tutelate dalla verità, dall'informazione, vanno tutelate dalla menzogna. Non è un caso che tutti i regimi illiberali, di destra e di sinistra, hanno colpito innanzitutto l'informazione, reprimendola, soffocandola, controllandola. Durante il fascismo non si poteva scrivere di cronaca nera. Pensi che allora nessuno si macchiasse di terribili crimini? Pensi forse che l'uomo uccide per emulare colui che lo ha fatto il giorno prima e di cui ha letto sul giornale? Io non vorrei vivere in quel tipo di comunità che tu auspichi, in cui dall'alto qualcuno decide per me cosa io debba conoscere e cosa non debba mai sapere, considerandomi evidentemente una specie di idiota da formare, anzi da allevare e modellare a piacimento. Il diritto all'informazione è valore fondativo di qualsiasi democrazia. Non è possibile comprimerlo senza nuocere alla democrazia stessa, senza azzopparla. Ti piacerebbe questo? Insomma, Mauro, ti piacerebbe che un editore, o un direttore, o un redattore qualsiasi decidesse cosa ti è dato conoscere e cosa no, quantunque con la presunzione di farlo per il tuo bene?

Per quanto riguarda il secondo tema da te toccato, anche io credo che i giornalisti vadano troppo dietro ai social network. L'aggravante: tale vizio rappresenta una scelta di comodo. Più facile stare seduti e cercare argomenti con i quali riempire le pagine piuttosto che muovere le chiappe e cercarsele le notizie. Questa deformazione rende i giornali poveri e ripetitivi, persino terribilmente noiosi. Tuttavia, è legittimo che ognuno possa dire la sua, anche sui social, arrivando a sparare anche corbellerie. Se ne pronunciano tante, ovunque, in ogni ambito, quindi non vedo perché non si potrebbe farlo sui social.

Impedirlo, stabilendo cosa si possa scrivere e cosa non si possa scrivere sulle proprie bacheche virtuali, sarebbe un attacco alla libertà di parola. Per me, dunque, inaccettabile. Posso non condividere un pensiero o ritenerlo errato, ma difenderò sempre la libertà di chi lo esprime di esternarlo.

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