La suggestione infiamma l'opinione pubblica. Non solo Massimo Bossetti non sarebbe l'assassino di Yara Gambirasio - reato per cui è stato condannato in tre gradi di giudizio all'ergastolo che sta scontando nel carcere di Bollate - ma il killer di Yara sarebbe tornato a uccidere. La nuova vittima sarebbe Sharon Verzeni, la donna di Terno d'Isola assassinata a luglio 2024, in una località poco distante da Brembate di Sopra, paese di Yara e luogo del suo ultimo avvistamento in vita. È questa la teoria che alcuni ripercorrono sui social network. E non è la sola similitudine che viene trovata sui social: per alcuni l'omicidio di Sharon presenterebbe somiglianze con quelli di Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri avvenuti nel 2016.
Ma è una teoria che non trova corrispondenza nella scienza criminologica. "I due casi sono differenti e implicano differenti riflessioni", spiega a Il Giornale la dottoressaa Chiara Camerani, psicologa esperta in criminologia e psicopatologia sessuale, direttrice del Cepic (Centro Europeo Psicologia Investigazione Criminologia) e docente universitaria.
Dottoressa Camerani, l'opinione pubblica, anche e soprattutto a seguito della docu-serie "Il caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio", sta sollevando ipotesi e suggestioni sull'esistenza di un serial killer nella Bergamasca. Cosa c'è di sbagliato in questa supposizione?
"Quando accadono eventi imprevedibili e inspiegabili che coinvolgono persone con cui empatizziamo - giovani donne, persone comuni che potrebbero essere nostre mogli, sorelle, figlie o noi stesse - viviamo una sensazione di angoscia, allarme e insensatezza cui dobbiamo dare una risposta. È più facile pensare a un serial killer piuttosto che all'assassino della porta accanto, al vicino, al padre di famiglia o persino a una donna. Dunque si è tentato di fare quello che in criminologia è definito case linking".
Di cosa si tratta?
"Si è, in altre parole, cercato di individuare se vi fossero legami tra omicidi apparentemente non collegati, per valutare se vi fossero pattern comuni. In genere si osservano similitudini o corrispondenze tra le prove fisiche o gli elementi medico-legali, la localizzazione geografica degli omicidi, le azioni compiute dall'offender, esaminando sia quelle necessarie a realizzare l'omicidio - il cosiddetto modus operandi - sia quelle non necessarie all'uccisione ma finalizzate a soddisfare bisogni emozionali e psicologici dell'assassino - la cosiddetta firma. Si cercano infine corrispondenze tra le vittime, elementi che le accomunano, dati anagrafici, stili di vita, tipo di violenza subìta, condizioni del cadavere, connotati fisici. In base agli elementi descritti, vi è poco in comune a parte la vicinanza geografica e il fatto che entrambe rincasavano con il buio".
Qual è la differenza tra un serial killer organizzato e uno non organizzato?
"La divisione tra organizzato e disorganizzato va sempre più sfumando: possiamo avere soggetti che preparano il crimine in modo organizzato, gestiscono la vittima con freddezza e lucidità ma poi perdono il controllo durante l'aggressione. Andrej Čikatilo, il mostro di Rostov, rientrava in questa categoria. Dunque oggi si tende più a parlare di offender impulsivi, che agiscono di fronte all'occasione, sono più indiscriminati nella scelta della vittima, agiscono in preda all'emozione del momento: l'attacco è breve e gli assassini sono più impulsivi e improvvisati nell'agire, oltre che meno attenti a coprire le loro tracce. L'interazione con le vittime è poco elaborata a livello di sequenze di azioni, fantasie e rituali. Diversamente, l'offender ritualistico è intriso delle proprie fantasie che diventano una 'palestra' per provare il crimine, elaborarlo, pianificarlo e arricchirlo di volta in volta".
In che senso?
"Le vittime sono scelte, l'attacco organizzato, e spesso l'aggressione implica scenari elaborati, perversioni, atti sadici, mutilazioni post mortem o posizionamento del cadavere. Dunque questi killer spendono tempo con la vittima. Questi soggetti sono attenti a non lasciare tracce e attuano modalità autoconservative, per esempio occultano il corpo o lo portano in luoghi diversi da quello dell'aggressione".
In base a ciò che si sa, quali sono i possibili tratti attribuibili al momento all'assassino di Sharon Verzeni? Invece, nel caso di Yara, cosa si poteva dire, alla vigilia della cattura di Massimo Bossetti, sul criminal profiling?
"I due casi sono differenti e implicano differenti riflessioni. Yara e Sharon sono vittime di età diverse: una ragazza appena adolescente e una donna adulta con un lavoro e un rapporto stabile. Yara è prelevata nei pressi della palestra ed è portata in un luogo isolato, dove presumibilmente l'offender ha intenzione di spendere del tempo indisturbato con la vittima. Sharon è aggredita per strada, si consuma tutto con rapidità. Yara non subisce violenza sessuale ma vi sono sul corpo elementi sessuali - il Dna dell'offender sugli slip ci dice che quantomeno ha manipolato l intimo della ragazza. Considerando che il corpo di Yara è stato ritrovato nel campo di Chignolo d'Isola circa 3 mesi dopo l'omicidio, è plausibile pensare che se anche l'assassino ha compiuto altri atti su di lei, molte prove sono state cancellate dalla lunga esposizione agli agenti esterni. Sharon è aggredita sul posto, rapidamente durante la passeggiata serale, non ci sono elementi sessuali, solo diversi colpi, uno al petto e tre alla schiena, forse inferti quando si è voltata per fuggire".
E poi?
"Ora vediamo l'arma del delitto. Nel caso della piccola Yara abbiamo violenza e sprangate, un trauma cranico, un fendente al collo e 6 ferite da arma da taglio, molte per prevalere su di una ragazzina, per quanto sportiva. Sembra un omicidio connotato da fantasie sessuali, aspetti ritualistici e pianificazione. Nel caso di Sharon, ribadisco, si tratta di un'aggressione veloce, avvenuta sul posto con un arma di fortuna - sembrerebbe un coltello da cucina a una lama, non proprio adatto a un omicidio - ma che l'aggressore ha portato con sé, forse con la volontà di vendicarsi e sfogare rabbia. Dato che i colpi sono penetrati a fondo, l'aggressore ha colpito con rabbia o quantomeno in preda a un intenso stato emotivo. Se la successione dei colpi è corretta, la vittima è stata attinta prima al petto e non si è difesa, dunque l'aggressore era una persona nota o qualcuno che non ha destato allarme o sospetto".
Dunque ci si orienta su una persona con cui c'era conoscenza.
"Le passeggiate serali di Sharon, a quanto riferiscono i testimoni, non erano costanti o prevedibili e spesso usciva col compagno. Il killer può essere o una persona cui ha comunicato i suoi spostamenti o una persona vicina che l'aveva vista uscire. Ma non possiamo escludere un tentativo di rapina finita male: la donna sembra essere uscita con le cuffie alle orecchie e forse non aveva con sé altro che il cellulare, essendo andata a fare due passi vicino casa".
Al caso di Yara viene associato a volte quello di Sarbjit Kaur, archiviato come suicidio. Cosa ne pensa?
"Per quanto concerne la morte di Sarbjit abbiamo una vittimologia ancora diversa per etnia, età, stile di vita, per cui tenderei a escludere un collegamento. Anche le cause della morte sono differenti: si parla di annegamento e contusioni probabilmente dovute agli urti del corpo nella caduta. Qui sarebbe utile effettuare un'autopsia psicologica, parliamo di una poco più che ventenne, immigrata, descritta come chiusa e schiva. Difficile sapere cosa vive una ragazza di quella età, come si è integrata, come vive la sua doppia appartenenza e la pressione che ciascuna cultura esercita su di lei. Il suicidio in questo caso è probabile".
Come il criminal profiling può aiutare in un'indagine complessa come quelle di Yara e Sharon?
"Il profiling è utile in caso di omicidi apparentemente immotivati, efferati e 'particolari' o con aspetti sessuali. La raccolta dei dati relativi alla scena del crimine, alla vittimologia, alle azioni compiute sulla vittima e alla tipologia di attacco possono offrire indizi circa aspetti personologici e psicologici dell'aggressore, che possono costituire indicazioni investigative".
Quindi?
"Al momento sul caso di Sharon abbiamo poche informazioni: c'è ancora tanto da scavare nella sua vita per vagliare eventuali piste. Colpisce che sia stata lasciata viva, in grado di trascinarsi e chiedere aiuto. Dunque l'aggressore non si è preoccupato di proteggere la propria identità… o non ne ha avuto il tempo, magari per il sopraggiungere di qualcuno. Di certo non sembra esserci compiacimento sadico: a differenza di Yara, l'aggressore di Sharon ha colpito rapidamente e non si è preoccupato di lasciare la vittima viva.
L'omicidio di Sharon appare più freddo e impersonale: i fendenti sono stati affondati con una certa profondità, ma non c'è stato accanimento tale da denotare un'esplosione di rabbia che l'offender non è riuscito a contenere. Certo, ribadisco, possiamo solo ragionare per ipotesi al momento: il materiale a disposizione è poco e offre solo idee generali e spunti di riflessione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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