La scelta dissennata di non intervenire, di lasciare che gli eventi portassero verso una morte inevitabile. Una scelta puramente "egoistica", dettata da una sola esigenza: salvare se stessi dalle conseguenze delle loro stesse azioni. Lo avevano chiaro sin dall'inizio Abdulaziz Rajab, uno spacciatore siriano già costretto ai domiciliari, e la sua amica Kaoula El Haozuzi, 23 anni, italiana di origini marocchine, che in quella casa la aveva accompagnata, che Maddalena Urbani sarebbe morta per un mix letale di oppiacei e metadone. Eppure entrambi hanno deciso di non muovere un dito, lasciando così la ragazza, giovanissima figlia di Carlo Urbani, l'uomo che salvò migliaia di vite individuando per primo il virus della Sars nel 2003, e che stava passando un periodo difficile alle prese con la sua tossicodipendenza, agonizzasse per 15 ore, prima di morire.
"Una telefonata al 118 le avrebbe salvato la vita"
I giudici d'assise di Roma che hanno inflitto condanne pesanti- per Rajab 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale, 2 anni alla ragazza per omissione di soccorso - non hanno alcun dubbio. "Una telefonata tempestiva al 118" sarebbe stata "sufficiente a salvare la vita di Maddalena", ma i due imputati "preferirono non allertate i soccorsi" nonostante "l'esatta consapevolezza della gravità della situazione, dimostrata dalla necessità di intervenire più volte quella notte sulla ragazza con manovre di tipo rianimatorio". Ma non lo fecero, per "motivi inaccettabili, esclusivamente egoistici".
I giudici concedono al pusher le generiche
Quella sera l'uomo non chiamò i soccorsi per farla franca. E per far sì che le forze dell'ordine non sapessero che aveva ospitato due ragazze in casa, dove peraltro custodiva della droga. Era infatti agli arresti domiciliari, e la chiamata avrebbe potuto metterlo nei guai. Così ha deciso di voltarsi dall'altra parte, di scegliere che Maddalena morisse. Ciò nonostante, i giudici gli hanno concesso le attenuanti generiche. Parlando, nella sentenza, "di disagiate condizioni di vita, di estrema precarietà ed emarginazione, nonché dell'atteggiamento parzialmente collaborativo".
Il giudizio durissimo sull'amica: "Ha mentito"
Sul comportamento dell'amica della Urbani nelle motivazioni si afferma che anche su di lei "gravava l'obbligo di attivarsi e far intervenire gli operatori sanitari, considerate le allarmanti condizioni" della ventenne. Durante il dibattimento ha "mentito, e ha fatto di tutto per sminuire la precisa consapevolezza della gravità della situazione e il suo evidente coinvolgimento nella vicenda". A lei le attenuanti generiche non sono state riconosciute, "in considerazione dell'atteggiamento processuale, improntato unicamente e pervicacemente al mendacio e privo della benché minima resipiscenza".
La ventenne, a causa delle sostanze,
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