“Vi dico perché Liliana Resinovich non si è uccisa"

Il presidente dell'associazione Penelope Nicodemo Gentile parla dell'opposizione all'archiviazione dell'indagine della procura di Trieste sulla morte di Liliana Resinovich: "Quei segni sul volto vanno interpretati"

“Vi dico perché Liliana Resinovich non si è uccisa"

Nonostante la procura di Trieste abbia chiesto l’archiviazione del caso di Liliana Resinovich, convinta che si tratti di un suicidio, permangono in gran parte dell’opinione pubblica copiose perplessità. La donna, un’ex impiegata della Regione in pensione, scomparve infatti la mattina del 14 dicembre 2021, venendo ritrovata cadavere tre settimane più tardi nel boschetto nei pressi dell’ex ospedale psichiatrico triestino. Il corpo avvolto in sacchi neri, la testa - con diverse lesioni ed ecchimosi - nei sacchetti per la spesa, stretti con un “cordino lasso”. Senza documenti, senza smartphone, senza le chiavi di casa - ma solo con un mazzo “di riserva”.

La procura aprì da subito due fascicoli: uno per suicidio, l’altro per sequestro di persona. Perché Liliana Resinovich, quel 14 dicembre, fu inquadrata da diverse telecamere di videosorveglianza, per poi svanire nel nulla. La procura però non ha sciolto il nodo della data della morte, e sia la famiglia di origine, “capeggiata” dal fratello Sergio Resinovich, sia il marito Sebastiano Visintin hanno presentato opposizione all’archiviazione.

Il fratello Sergio in particolare si è avvalso della consulenza di due esperti, medici legali e docenti universitari, Vittorio Fineschi e Stefano D’Errico. Secondo questi, le possibili lacune potrebbero trovare risposta nell’ipotesi di occultamento del cadavere, nel non escludere che il corpo sia stato congelato, nelle tempistiche dilatate degli esami effettuati sul corpo di Resinovich. Tanto che Fineschi si era pronunciato così: “Dire che non ci sono prove che sia stato un omicidio non basta a dire che sia un suicidio”.

“Abbiamo ancora la possibilità di cercare una verità che non è stata ancora sicuramente scritta”, commenta Nicodemo Gentile, avvocato e presidente dell’associazione Penelope, che sta affiancando Sergio Resinovich e la sua famiglia nella “ricerca della verità, ma facendo un percorso rispettoso di tutte le parti ma soprattutto rispettoso della verità”.

Avvocato Gentile, perché conoscere il giorno della morte di Liliana Resinovich potrebbe essere importante per capire cosa sia accaduto?

“Conoscere il giorno della morte è fondamentale per ricostruire in modo pieno, analitico e attento una verità che altrimenti rimane sospesa. È importante per capire gli eventuali alibi delle persone interessate da questa vicenda, e quindi verificare chi avrebbe potuto in qualche modo entrare in contatto con Liliana sia il giorno 14 sia, se si è dell’idea che sia morta qualche giorno prima del ritrovamento, a gennaio 2022. L’idea che Lilly abbia girovagato per oltre 20 giorni per Trieste e dintorni, avendo creato una sorta di vita parallela, rientra tra quelle ipotesi che vanno fuori, a nostro avviso, tenuto conto di chi era Lilly, tenendo conto che non aveva soldi, green pass o possibilità”.

Quindi cosa si può fare?

“Bisogna compiere ogni sforzo per chiudere questa vicenda. Abbiamo ancora la possibilità di cercare una verità che non è stata ancora sicuramente scritta. L’accertamento medico-legale compiuto dagli esperti della procura ancora deve essere completato e ci sono risposte da poter ottenere”.

È mancato qualcosa a suo avviso sull’indagine?

“Gli accertamenti su quei segni sul volto di Lilly: molti di essi non sono stati individuati o sviliti. Tuttavia ci dicono, seppur senza essere causa o concausa di morte e contrariamente a quello che pensa la procura, che Lilly non si è addentrata da sola in quel boschetto per andare a suicidarsi, ma è stata portata da qualcuno, ‘impacchettata’. Siamo convinti, lo abbiamo sempre detto, che Lilly sia stata intercettata e sia successo qualcosa. Quei segni sul volto vanno interpretati, non si può chiudere la vicenda dicendo che sono lesioni semplici connessi con una caduta accidentale, ma possono essere attribuibili a uno strattonamento o una colluttazione".

L’ipotesi di un malore è da escludersi viste le ecchimosi sul viso?

“Siamo in una fase in cui non ci sono indagati e non dobbiamo dare sentenze di responsabilità ma costruire un percorso che sia completo. La causa della morte è certamente di natura asfittica, per il resto è tutto da scoprire. I segni esistono, sono coevi alla morte - ce lo dice l’istologia - e vanno interpretati. La dottoressa Cattaneo, nella seconda autopsia su Serena Mollicone (la 18enne uccisa ad Arce, in provincia di Frosinone, nel 2001, ndr) ha studiato le lesività, non vedo perché non lo dobbiamo fare nel caso di Lilly, al fine di ottenere un’analisi più approfondita”.

Quali sono le considerazioni più importanti della consulenza dei professori Fineschi e D’Errico?

“A partire dallo studio dei professori Fineschi e D’Errico abbiamo indicato la possibilità di esperire un accertamento, per capire se il corpo è stato sottoposto a una sorta di raffreddamento: si può fare con gli esami sul muscolo, ma abbiamo chiesto anche altri approfondimenti tecnici. Non bisogna arrendersi all’idea che la medicina legale debba alzare bandiera bianca per questo caso, e non si arrenderà la difesa di Sergio Resinovich, nel rispetto di tutte le parti, procura compresa. Quella di Lilly è una morte equivoca e sospetta anche per elementi come i vestiti puliti, i sacchi neri, il cordino lasso”.

Quando si saprà se il ricorso dei familiari all’opposizione è stato accolto?

“Il 5 giugno 2023 ci sarà l’udienza: allora il giudice si riserverà la decisione. Di solito per conoscere il provvedimento ci vogliono al massimo una decina di giorni”.

Sergio Resinovich dice che la sorella Liliana avrebbe lasciato per lui un biglietto con le coordinate bancarie dietro a un quadro, nel caso le fosse accaduto qualcosa. Ma, da come viene descritta, Liliana era una persona preparata e istruita: è difficile, nel contesto, immaginare che non sapesse che quel conto non avrebbe potuto subire movimenti. Avete mai pensato che avrebbe potuto nascondere un messaggio di altra natura - non necessariamente una lettera d’addio?

“Io credo che se Liliana avesse voluto comunicare qualcosa al fratello o alla nipote, visti i rapporti molto continui e intimi che avevano, non ci sarebbe stato il bisogno di ricorrere a biglietti o messaggi nascosti, avrebbe potuto farlo direttamente. Non esiste una sola traccia che affermi l’idea del suicidio di Liliana”.

Ovvero?

“Il suicidio, lo dice la tantissima letteratura scientifica in proposito, è un evento studiato nella vita delle persone. La morte di Lilly non si può far pensare a un suicidio, per esempio per le modalità roboanti e gli evidenti segni grotteschi e malriusciti di uno staging - dal cordino lasso ai sacchi neri, la cui funzione non è stata a oggi spiegata da nessuno, sebbene la procura ci abbia provato. Abbiamo inoltre una pluralità di elementi che afferma che Lilly stesse progettando altro nella sua lista: la consulenza informatica restituisce l’immagine di una donna che si attiva verso un percorso con elementi obiettivi.

Per non parlare delle modalità di ritrovamento del cadavere e delle dichiarazioni delle persone a lei vicine. In più la ragione per cui una persona si uccide deve riguardare gli inquirenti, non fosse altro che esiste il reato di istigazione al suicidio”.

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