I punti chiave
Serial killer o “collezionista d’ossa”? La vicenda della scomparsa di Libero Ricci si intreccia con un insolito ritrovamento, quello di uno scheletro bruciato, le cui ossa appartenevano a 5 diverse persone, nei pressi dei documenti dell'anziano romano. Una sorta di macabra “composizione” che ha sollevato tanti interrogativi, tutti rimasti senza risposta, per via dell’archiviazione dell’indagine. La dottoressa Chantal Milani ha ristudiato i resti, ricostruendo anche uno dei volti di queste 5 persone.
Il progetto cui ha preso parte l'esperta era stato promosso dal Commissario Straordinario per le Persone Scomparse in capo al Ministero dell'Interno al fine di identificare i corpi senza nome. Erano state coinvolte alcune istituzioni romane, come l'Istituto di Medicina legale dell'Università la Sapienza diretta dal professor Vittorio Fineschi. Antropologa e odontologa forense, Milani è stata anche coinvolta dal professor Luigi Cipolloni, che si era occupato del caso già ai tempi del ritrovamento.
Secondo Milani, è difficile immaginare che questo caso sia quello di un serial killer. “Quella del serial killer è l'ipotesi che ritengo meno probabile - chiarisce a IlGiornale.it - È una 'ricostruzione di uno scheletro' singolare, ma non ci sono altri casi simili correlati o episodi di scomparse correlabili. Un eventuale approfondimento in quella direzione necessiterebbe di un lavoro più sistematico, ma ‘pour parler’ mi sembra fuori dall’insieme di elementi che caratterizzano l’operato di un serial killer”.
La scoperta
Il nome “Magliana”, a Roma, evoca le storie più nere della cronaca nera, dal Canaro ai crimini della Banda della Magliana. In questo quartiere, in via Pescaglia, nel primo pomeriggio del 27 luglio 2007 ci fu un intervento dei Vigili del Fuoco per placare un incendio. Quando le pompe dell’acqua cessarono la loro azione, furono ritrovati in quei pressi dei documenti e delle chiavi di un uomo scomparso anni prima e uno scheletro bruciato, anche se il suo teschio era apparso più spostato rispetto alle altre ossa ai soccorritori.
Il documento e le chiavi appartenevano a Libero Ricci, un artigiano che aveva lavorato in Vaticano, scomparso il 31 ottobre 2003 all’età di 77 anni. Ricci abitava con la moglie alla Magliana, nella zona Portuense, come riporta il sito della Polizia Penitenziaria, e quel giorno era uscito per fare una passeggiata. Gli inquirenti si orientarono subito sull’ipotesi che lo scheletro appartenesse allo scomparso, ma la verità era ben oltre all’immaginazione. Preliminarmente è giusto precisare che il responsabile della composizione non fu sicuramente Ricci secondo gli inquirenti: l'anziano, che già una volta aveva tentato un allontanamento, temendo a torto che le sue condizioni di salute pesassero sui suoi cari, soffriva di demenza senile e non aveva conoscenze di anatomia tali da compiere quell'azione. In altre parole chiunque sia il "collezionista" sicuramente non fu Libero Ricci.
“Prima della ricostruzione del volto - continua Milani, che ha lavorato sul teschio di una donna, denominata F1 che componeva lo scheletro - mi sono occupata di riprendere lo studio di quelle ossa. Passaggio preliminare inevitabile. La ricostruzione infatti è l'ultimo anello di una catena di analisi antropologiche. Il primo step è sempre la stesura del profilo antropologico che emerge attraverso l’analisi dei resti umani. Perché le ossa, anche solo attraverso analisi conservative, quindi non distruttive come può invece essere il Dna, spesso ci danno molte informazioni: ci dicono se si tratta di un uomo o una donna, l’età, la statura o la costituzione, e così via. A volte anche le condizioni di vita in cui ha vissuto”.
Non solo. “I casi di resti incompleti e commisti, quindi di più individui come in questo caso, non sono mai semplici. In questo caso siamo partiti avvantaggiati da una buona base di analisi già fatte all’epoca: dal sapere che, ad esempio, quel cranio appartenesse con certezza a una donna. In realtà un cranio mostra molti indicatori del sesso dell’individuo, quindi anche senza analisi genetica, la morfologia di quel cranio mostrava comunque caratteristiche prevalentemente femminili. Altri dettagli mi hanno permesso di confermare o rivalutare anche età e costituzione fisica. Questo insieme di elementi costituisce il profilo antropologico che mi aiuta a scegliere i corretti 'spessori di tessuti molli' fra tutti quelli presenti in letteratura. Questi vanno poi collocati in precisi punti anatomici del cranio e servono come guida per modellare muscoli e, strato dopo strato, tutti i tessuti fino alla cute”.
L’attribuzione
La procura di Roma aprì un fascicolo per omicidio e occultamento di cadavere, l’inchiesta fu affidata al pm Marcello Monteleone. Era giunta infatti sul posto la Squadra Mobile, tutto era stato repertato. Qualcosa da subito però non quadrava: i famigliari di Ricci non riconobbero come suoi alcuni vestiti e le scarpe ritrovati vicino allo scheletro. Così viene effettuato un esame del Dna, che nel 2010 dà esito negativo: nessuna delle ossa trovate appartenevano a Ricci, ma a 5 differenti persone, 3 donne e 2 uomini.
Le analisi successive furono affidate, come riporta "Chi l’ha visto?", all’Istituto di Medicina Legale di Roma insieme al laboratorio "Circe" del dipartimento di scienze ambientali di Caserta, dell’Università di Napoli, che risalirono alla data indicativa della morte e all’età delle 5 persone i cui resti erano stati “accomodati” per formare uno scheletro, come si trattasse di un solo individuo.
“È tutto eseguito al computer, ma non c’è niente di automatico - racconta Milani in merito alla ricostruzione del volto effettuata da lei nel 2023 - dopo aver ottenuto dalla Tac una copia virtuale del cranio, ogni singola componente anatomica, muscolo e centimetro di cute deve essere modellata in ambiente virtuale dall’operatore. La ricostruzione del volto si basa sul principio che il cranio, come la gran parte delle strutture anatomiche, presenta elementi fortemente caratterizzanti la persona a cui è appartenuto. Di conseguenza, i tessuti molli che si appoggiano su di esso e lo 'vestono' manifesteranno un insieme di proporzioni, forme e dettagli del cranio sottostante, che in parte emergeranno anche nel volto finale”.
All’epoca del ritrovamento si ricorse all’analisi del radiocarbonio “Bomb Spike”. Venne stabilito che: “Il teschio e la spina dorsale sono di una donna tra i 45 e i 55 anni (F1). È deceduta tra il novembre 2002 e il novembre 2006. Altre ossa (F2) appartengono a un’altra donna, più giovane, tra i 20 e i 35 anni, morta tra il novembre del 1992 e il febbraio del 1998. I resti della terza donna (F3), anche lei giovane, tra i 35 e i 45 anni, ne datano il decesso tra l’aprile del 1995 e il dicembre del 2000. Il primo maschio (M1) aveva tra i 40 e i 50 anni quando è morto tra il febbraio 2002 e l’ottobre 2006. Il secondo (M2) aveva tra i 25 e i 40 anni, ed è morto tra il febbraio 1986 e l’ottobre 1989”.
Milani ha ricostruito appunto il volto di F1. “Il risultato è stato l’elaborazione di un volto di donna basata su un insieme di metodi scientifici e ipotesi ragionate - dice ancora Milani - La base scientifica è data dalle tecniche di ricostruzione ormai rodate dalla comunità scientifica nel corso degli anni e che porta a ottenere un volto glabro. Si aggiungono inevitabilmente dei dettagli ipotetici come colore di occhi e capelli, 'trucco e parrucco’ per intenderci, che vengono scelti su ragionamenti statistici di massima legati al tipo di popolazione (o in altri casi giudiziari da eventuali indizi che possono essere trovati sulla scena del crimine). In questo caso questi indizi erano scarsi, tant'è che ho prodotto più versioni (capelli chiari, scuri, lunghi, corti). Il volto che emerge non vuole essere inteso come la fotografia esatta dell’individuo, ma un volto che è compatibile con quel cranio e può essere suggestivo, mirando a richiamare l’attenzione di un osservatore che può riconoscerne anche solo alcuni aspetti”.
Ma c’è anche un altro dettaglio molto misterioso: questa donna individuata come F1 presentava parte del Dna mitocondriale - che unisce gli individui per linea materna - in comune con Libero Ricci: in altre parole poteva essere una sua parente indiretta, forse un’antenata in linea femminile. Il giallo è davvero fitto, soprattutto se si considera che i documenti di Ricci potrebbero essere stati ritrovati in quel luogo per una mera casualità.
Il mistero
Diversi famigliari di scomparsi contattarono “Chi l’ha visto?”, per cercare di capire se alcune di quelle ossa appartenessero ai propri cari. Tuttavia l’inchiesta, non essendo riuscita a sciogliere il giallo, fu archiviata a marzo 2011 dal gip Nicola Di Grazia su richiesta del pm Monteleone. Si spera che la ricostruzione del volto compiuta da Milani possa permettere il riconoscimento da parte di un parente: “Magari! Anche se sono un po' perplessa riguardo ad alcuni aspetti del caso in generale. Quello del 'collezionista di ossa' è un caso sicuramente eclatante nel quale è molto singolare l’attenzione nella disposizione delle ossa. È tuttavia un caso in cui credo non possano essere ancora escluse le ipotesi più semplici, ripartendo da una nuova interpretazione di alcuni dati”.
Due furono le ipotesi principali percorse dagli inquirenti. La prima: quei resti sarebbero stavano relativi agli omicidi commessi da un serial killer. Tuttavia mancavano delle azioni rituali e ripetute e tra un presunto omicidio e l’altro sarebbe intercorso troppo tempo. La seconda: chi aveva composto lo scheletro in quel modo sarebbe stato un trafugatore di cimiteri. Venne effettuato, per sicurezza, anche il confronto con il Dna di Emanuela Orlandi, ma il test diede esito negativo. Improbabile anche l'ipotesi che quello fosse una sorta di "cimitero" della Banda della Magliana.
“Il marsupio con il portafoglio, che è stato trovato nei pressi della discarica prossima a un campo rom, contiene i documenti di Libero Ricci - illustra Milani - ma questo potrebbe anche essere un reperto casuale ed essere stato gettato lì fra i rifiuti anche in tempi successivi. Che il Ricci avesse in comune col cranio una determinata origine, si è parlato di origini ebraiche parecchio indietro nel tempo, può essere una cosa comune a molti individui soprattutto per quel che attiene alla popolazione ebraica nel territorio laziale. Poi vi sono le analisi che sono state eseguite sulle ossa e che non rilevarono tracce di zinco, circostanza che ha portato gli inquirenti a escludere la pista cimiteriale. Risultato che però rischia di portare fuori strada. Se fosse stata rilevata la presenza di zinco avrei potuto pensare a una realtà cimiteriale, ma la sua assenza potrebbe essere, invece, un cosiddetto ‘falso negativo’”.
Il dettaglio dello zinco non è da sottovalutare: “Se non c'è zinco può darsi semplicemente che il frammento prelevato non sia entrato in stretto contatto con componenti in zinco della cassa. La datazione inoltre non deve essere mai presa nuda e cruda come esce dal laboratorio, ma necessita di alcuni ‘fattori di correzione’ e di interpretazione. Fu fatto un gran bel lavoro all’epoca, ma inevitabilmente alcune tecniche e conoscenze di 15 anni fa sono inferiori a quelle di oggi. Se questa piccola 'ricognizione' non invasiva un domani potesse essere affiancata da qualche ulteriore analisi di laboratorio, magari potrebbe aggiungersi qualche altro tassello. Chissà”.
Anche il professor Cipolloni ritenne nell’indagine dell’epoca improbabile la pista cimiteriale per diverse ragioni. Innanzi tutto le morti di questi individui sono stati datati tra il 1986 e il 2006, quindi è difficile che le ossa si presentassero naturalmente scarnificate.
È molto probabile che comunque il processo di scheletrizzazione non fosse completo: alcune parti delle ossa presentavano lesioni compatibili a morsi di animali. Inoltre questa pista dovrebbe dar conto dell’ipotesi che lo scheletro sia stato composto sul luogo del ritrovamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.