La storia di un abbandono da parte della società, da parte di quelli che dovevano proteggerla e darle gli strumenti per costruirsi una vita in sicurezza, finita con la morte di una 19enne: il 7 febbraio 2018 Jessica Valentina Faoro viene massacrata da Alessandro Garlaschi, uomo di 39 anni, tranviere a Milano.
La ragazza aveva vissuto per diversi anni in alloggi per minori dopo essere stata allontanata dalla famiglia all’età di 8 anni. A 18 anni, compiuta dunque la maggiore età, non potendo più alloggiare in questo tipo di comunità e non potendo neanche recarsi in un rifugio, per via del cane che teneva con sé, Zen, si era ritrovata per strada. Fu qui che avrebbe conosciuto Garlaschi, che le aveva offerto di venire a vivere a casa sua come “ragazza alla pari”, cioè in cambio di lavori domestici. In casa viveva anche la moglie, che l’uomo però le aveva presentato come essere sua sorella.
A quanto risulta, Garlaschi avrebbe tentato più volte di avvicinarsi alla ragazza, che lo ha sempre prontamente rifiutato. La sera del 7 febbraio, però, i due si erano ritrovati soli in casa e all’ennesimo no, l’uomo, preso dall’ira, si è scagliato contro la ragazza, trucidandola con 85 coltellate.
A cinque anni dal delitto e una sentenza di Cassazione che ha confermato l’ergastolo, stasera 13 maggio a Milano al Centro Culturale Asteria verrà presentato “N.N.”, un monologo scritto dalla poetessa e autrice Mara Venuto e a cui presterà la voce l’attrice Sarah Macchi. Un evento dedicato a Jessica Valentina Faoro e, come suggerisce il titolo, a tutti gli altri “figli di nessuno”.
Signor Faoro, a 5 anni dall’uccisione di sua figlia Jessica va in scena un monologo in suo ricordo, com’è nato lo spettacolo?
“Il monologo è nato nel 2018, dopo il fatto di Jessica. Sono stato contattato da Mara Venuto la quale mi ha chiesto il permesso di poter scrivere qualcosa su mia figlia, ma io allora non avevo capito cosa sarebbe andata a scrivere. Ha contattato anche alcuni amici di Jessica, cercando di parlare anche con suo fratello, che però si rifiuta tutt’ora di parlare del fatto”.
Poi?
“Mara poi mi ha mandato il monologo, avvertendomi: ‘Guarda che fa male’. Già il titolo, “N.N.”, non è che sia leggero. Infatti, non sono riuscito a leggerlo del tutto”.
Per lei il monologo cosa significa?
“Io ci tenevo che Jessica rivivesse per un attimo ancora. Per svariati motivi. Jessica non è la semplice ragazza uccisa, ma rappresenta tante sfortune raccolte tutte in una persona. Qui si tratta anche di sensibilizzare sul problema dei ragazzi abbandonati a sé stessi, sul tema dei servizi sociali, la voglia di fare e la mancanza di possibilità che invece un tempo c’erano. È quindi un insieme di tante cose. Jessica era una ragazza che non aveva nulla di male, se non cercare di uscire da dove si era andata a cacciare”.
Come si sente a rivivere il delitto, cinque anni da quando è successo?
“Non è come mi sento ora, ma come mi sono sentito negli ultimi cinque anni. Ho avuto problemi sul lavoro, non ho lavorato per due anni. Jessica non meritava questo, la condanna a quella persona per la legge è esemplare, ma è misera consolazione. Io spero tanto che lei riviva in quel monologo, per quella mezz’ora ad Asteri. Spero di rivederla”.
La speranza è che rimanga nella memoria del pubblico per più di mezz’ora.
“Io non sono il tipo da andare a chiamare assessori, o qualcuno in regione per attirare attenzione, perché per me loro sono parte della morte di Jessica. Infatti, ho scelto Camnago, in provincia di Monza, come prossimo luogo in cui il monologo andrà in scena, spero a settembre”.
Come mai?
“Perché è fuori da Milano, perché è lontano dal luogo del delitto e da chi, secondo me, porta altrettanto la colpa di questo fatto. Ma è tardi ormai. Ci sono tanti altri ragazzi in giro come lei. Io lavoro di notte, lavoro per l’Atm, stessa azienda per cui lavorava l’assassino. Jessica di quella divisa probabilmente si fidava. Di notte, durante il servizio, vedo lo sbando generale che c’è nei ragazzi, lo vivo, ogni giorno vivo Jessica in qualcosa. Tutti i giorni ho ancora bisogno di lei, ma io non c’ero quando lei aveva bisogno di me, sa quanto sto male?”
È inimmaginabile.
“Io vivo così purtroppo”.
Che ricordi ha ancora di sua figlia?
“Ho i suoi messaggi, di Messenger, su Whatsapp. L’esplosione che c’è stata a Milano, all’angolo, la scuola di suore che hanno evacuato, quella era la scuola di Jessica. Lì andavano Jessica e Andrea, nel parco giochi accanto ci sono gli scivoli e le altalene dove giocava, dove portavamo il cane insieme, dove la portavo in bicicletta”.
Ha mai avuto contatti con l’assassino, Alessandro Garlaschi?
“Garlaschi l’ho visto soltanto in prima udienza in tribunale. Lui mi scrive, o almeno mi scriveva. Mi dice che non chiede scusa, che non è stato lui, che non si ricorda cosa sia successo, che voleva bene a Jessica. Mi chiede se posso portargli dei fiori, o altre cose sulla tomba”.
E il fratello di Jessica, Andrea?
“L’unica cosa bella di tutto questo è che Jessica ha salvato suo fratello.
Perché da quando è successo il fatto, mi sono potuto riavvicinare a lui. Almeno di questo ne posso essere contento, altrimenti ne avevamo due in strada. Ma mi chiedo il perché: perché deve morire qualcuno per avere quel minimo aiuto che si dovrebbe avere?”- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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