“Ora potete sentire la voce di Bossetti. Quelle tracce mai analizzate sul corpo di Yara"

Parla Claudio Salvagni, avvocato di Massimo Bossetti. Il legale continua la sua battaglia per l’esame dei reperti

Ufficio stampa Netflix
Ufficio stampa Netflix

È da tanto tempo che aspetto questo momento”, dice Massimo Bossetti nel trailer della docuserie Netflix “Il Caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”. Bossetti parla per la prima volta con la sua voce, dopo la condanna all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra scomparsa 26 novembre 2010 e ritrovata cadavere tre mesi più tardi in un campo di Chignolo d'Isola. Molte persone credono all'estraneità dell'uomo.

Sono ormai anni, tra l'altro, che i legali di Bossetti si battono per visionare i reperti fondamentali per la condanna del loro assistito. L'avvocato Claudio Salvagni e i suoi colleghi l'hanno potuto fare a maggio 2024, ma non sono stati autorizzati all'analisi. La vicenda ha portato all'indagine della pm Letizia Ruggeri nell'ambito della conservazione dei reperti - sostanzialmente campioni di Dna. Per Ruggeri è stata chiesta l'archiviazione. “Questo processo si basa sulla prova del Dna. Se il Dna viene meno, crolla tutto il castello che è stato costruito”, spiega il difensore di Bossetti a Il Giornale.

Avvocato Salvagni, a che punto siete sulla possibilità di analisi dei reperti?

“Per il momento non è cambiato nulla”.

Farete istanza per chiedere di analizzarli?

“No, al momento no, siamo concentrati sull'indagine a Venezia che riguarda Letizia Ruggeri. Poi vedremo. Nell'udienza del 17 luglio (ieri, ndr), c'è stato un rinvio: è stata avanzata una questione di legittimità costituzionale dall'avvocato della difesa”.

C'erano altre tracce anonime di Dna sui reperti. Cosa ne pensa?

“Sono importanti sotto un duplice profilo. Primo: perché i reperti relativi agli abiti - slip, leggings, giubbotto, maglietta - sono stati conservati adeguatamente. Questo ci fa ben sperare in un'ulteriore analisi. Secondo: siccome sono visibili delle ulteriori tracce non analizzate, sarebbe interessante andare ad analizzarle”.

Per vedere di chi si tratta.

“Certo, per vedere di chi si tratta, per vedere se quel Dna che è stato estratto nelle tracce attigue può essere magari sbagliato, come sosteniamo noi”.

Il nodo di una possibile revisione si basa su nuove prove. Reperti a parte, c'è anche altro?

“Mi sembra molto evidente: questo processo si basa sulla prova del Dna. Se il Dna viene meno, crolla tutto il castello che è stato costruito, Questo non lo dico io, lo dicono le sentenze, lo dice lo stesso pm: senza il Dna non si poteva arrivare a una condanna di Bossetti. Quindi se questo Dna viene meno… E come fa a venire meno? Viene meno con un'altra analisi che dimostra un eventuale errore. Cadrebbe tutto l'impianto accusatorio recepito nelle sentenze”.

L'attenzione per il caso è sempre molto alta. Tanti non credono che il suo assistito fosse colpevole. In che direzione si sarebbe potuto indagare al momento del ritrovamento del corpo di Yara?

“Le strade erano sicuramente molte. La caratteristica di questo fascicolo processuale è che ci sono tanti indizi che portano su piste alternative, che sono state iniziate e, non si sa perché, sono state abbandonate. Gli inquirenti hanno individuato delle piste alternative, hanno iniziato delle indagini che poi si sono interrotte, non si sa bene perché. Noi non sappiamo il perché della sospensione di quelle indagini. E quindi ci sono piste che, a nostro modo di vedere, andrebbero approfondite”.

Il suo assistito, sebbene abbia scritto diverse lettere lette in trasmissioni tv, ha preso la parola per la prima volta dal vivo nella docuserie Netflix. Anche lei è in alcuni episodi. L'ha vista? Cosa ne pensa?

“Qualcosa conosco, ho visto qualcosa, non ho ancora visto tutta la docuserie. Penso che sia stato molto difficile far parlare Massimo Bossetti, perché incredibilmente vi era una chiusura anche per farlo parlare, quindi non solo processualmente lui non ha avuto accesso a nessuna perizia, a nessun sistema per dimostrare la propria innocenza, ma addirittura è stato estremamente difficile poter rendere un'intervista, poter parlare, dire la sua versione dei fatti. Più che altro non la versione dei fatti, perché lui dice: 'Io non c'entro niente', ma dire che cosa pensa, che cosa ha patito. Quindi anche questa è una caratteristica strana di questo processo”.

In che senso?

“È accaduto veramente di tutto. Vorrei ricordare i campioni di Dna che non sono stati mai analizzati e che per le sentenze addirittura non esistevano più. Tanto è vero che non era possibile effettuare una perizia perché mancavano i campioni, si erano consumati completamente. E poi successivamente, a chiusura del processo, è saltato fuori che invece ce n'erano ancora 54, ben conservati all'istituto San Raffaele di Milano. E quando siamo stati autorizzati ad analizzare quei reperti, qualcuno ha deciso di distruggerli. È per questo che c'è un procedimento a Venezia. Il processo a Massimo Bossetti è sicuramente un processo molto molto particolare. L'imputato non si è potuto sostanzialmente difendere, perché se l'unica prova che lo accusa non è verificabile dalla difesa, non si può difendere, a mio giudizio. E per ultimo non ha potuto neanche parlare per anni. Finalmente è stata data questa autorizzazione. Adesso ascoltiamo che cosa dice”.

Come possiamo definire questa prima testimonianza di Bossetti con la propria voce?

“Proprio per questa ragione possiamo tranquillamente dirlo: è una testimonianza assolutamente importante.

La voce di Massimo non la conosce praticamente nessuno, perché ha parlato soltanto nell'ambito del processo quando ha potuto prendere le sue dichiarazioni o quando è stato interrogato. Ma non erano ammesse le telecamere. Quindi i suoi sguardi e il suo eloquio non sono stati visti e sentiti. Quindi per me è molto importante, sicuramente è una testimonianza che va ascoltata”.

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