Esce oggi su Netflix la docuserie “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”. Si tratta di cinque episodi sviluppati e diretti da Gianluca Neri, scritti da Carlo G. Gabardini, lo stesso Neri ed Elena Grillone. In essi, attraverso uno studio certosino dei 60 faldoni dell’inchiesta, ma anche attraverso le testimonianze di esperti, giornalisti ma anche protagonisti della storia, si esplora la vicenda con collegamenti temporali dall’omicidio di Yara Gambirasio alla ricerca del colpevole, fino all’arresto di Massimo Bossetti, i tre gradi di giudizio a suo carico, la condanna e le parole dalla sua viva voce. E per la prima volta da quando è in carcere il muratore di Mapello rilascia un'intervista davanti alle telecamere.
Le parole di Bossetti
Bossetti appare solo nel secondo episodio, chiudendo la puntata con le parole: “È difficile parlare”. Ed esordendo nel terzo episodio così: “È più facile puntare il dito contro una persona, condannarla, che ammettere di aver fatto un grosso sbaglio”. Nella docuserie l’uomo continua a professarsi innocente: “Mi sono sempre chiesto il perché sono finito in questo caso e melo chiedo tuttora”. Racconta perfino di un presunto incontro, che risalirebbe ai primi giorni del suo isolamento in carcere: un comandante gli avrebbe dato una penna, suggerendogli di arrivare a un compromesso. Per tutta risposta Bossetti gli avrebbe lanciato il foglio addosso. Poi gli sarebbero stati portati via sedia e tavolo, con l’ordine che non gli fosse passato il vitto per due giorni.
“Provate a immedesimarvi. Come persona. Come marito. Come padre. Come figlio”, dice Bossetti, sottolineando come si siano complicati i suoi rapporti famigliari, non solo con la moglie per via delle accuse e i dettagli emersi della loro vita privata, ma anche con la madre - per via della comparazione dei Dna, si parlò a lungo della possibilità che il padre biologico di Bossetti fosse qualcun altro.
Ma quando pensa al momento della condanna e alla sua condizione di ergastolano, Bossetti arriva a piangere: “È difficile parlare quando ti piomba addosso una parola così pesante. ‘L’ergastolo’. Mi stai toccando delle cose che mi fanno male. Però è anche giusto che la gente deve capire […] Non riesco a vedere il mio futuro. Cerco con forza di vivere il presente giorno per giorno, di dare la forza ai miei figli, di non preoccuparsi, di non cercare di farli sentire come mi sento. E mi fa male perché non riesco a essere compreso della realtà di quello che sono. Ma cerco di farmi valere, cerco di non farmi uccidere dalla giustizia che ha tentato di abbattermi”.
La vicenda
Yara scomparve da Brembate di Sopra il 26 novembre 2010. Era una cosiddetta persona a basso rischio, ovvero era molto improbabile che fosse la vittima di un omicidio, come invece è accaduto: viveva in una famiglia affettuosa e religiosa, era una campionessa in erba di ginnastica ritmica, andava a scuola. Ma, come si sarebbe scoperto tre mesi più tardi, la sua vita normale si interruppe quello stesso giorno, colpita e ferita in un campo di Chignolo d’Isola - dove il suo corpo fu ritrovato - e lasciata a morire nel freddo autunno della Bergamasca.
Dall’analisi dei suoi vestiti, in particolare gli slip, fu estratto un Dna maschile, quello di Ignoto 1. A seguito di un enorme sforzo di inquirenti e volontari, fu raccolto il materiale genetico di moltissimi abitanti della zona, e si risalì, attraverso diversi incroci a Massimo Bossetti, arrestato nel 2014 e poi condannato all’ergastolo, con conferma in Cassazione nel 2018. Ma Bossetti, da sempre, si dichiara innocente.
Di cosa parla la docuserie
Come accennato, “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio” tratta appunto l’intera vicenda, attraverso testimonianze nuove ma anche filmati dell’epoca. Vengono esplorate anche le piste alternative, come per esempio le somiglianze tra l’omicidio di Yara e la morte - archiviata come suicidio - di Sarbjit Kaur, trovata sulle sponde del fiume Serio, ma che presentava alcuni punti di contatto con il caso della 13enne bergamasca.
Molti filmati ricordano il riserbo e la dignità con cui la famiglia Gambirasio affrontò la situazione: assediata dalla stampa, in attesa di notizie che talvolta trapelavano in tv, delusa dalle testimonianze di mitomani, il papà e la mamma di Yara hanno sempre tenuto un profilo basso, il che è stato sempre ragione di stima da parte dell’opinione pubblica.
A parlare ci sono anche delle persone vicine a Bossetti, come la moglie Marita Comi e il suo avvocato Claudio Salvagni. Ma soprattutto a parlare è lo stesso Massimo Bossetti, che in questi anni ha inviato lettere alle trasmissioni tv - per esempio a Quarto Grado - ma non è mai stato intervistato in prima persona come accade in questa docuserie.
Qual è la verità?
Chi segue la cronaca nera lo sa: esiste una verità giudiziaria e questa verità, nella storia, non sempre ha corrisposto alla verità fattuale, dando vita a errori giudiziari. La verità giudiziaria sull’omicidio di Yara è che Bossetti è colpevole, poiché condannato in tre gradi di giudizio. Ma molti non ci credono.
Se da un lato si potrebbe ipotizzare che l’immagine di Bossetti non incarna esattamente nell’immaginario collettivo il predatore sessuale - padre di famiglia, un po’ "bugiardo" sì ma solo per poter "aiutare la famiglia", amante degli animali - dall’altro ci sono delle ragioni ben precise per cui il fenomeno avviene, e non ha semplicemente a che fare con le percezioni. Queste ragioni vengono annoverate nella docuserie.
Le altre piste sfiorate ma poi tralasciate, i primi errori di comparazione del Dna (per cui vennero comparati i campioni delle persone con il corredo genetico di Yara), il filmato del furgone mostrato alla stampa, la vicenda dei reperti: sono tutti fattori che nel tempo, sedimentando, potrebbero aver contribuito ad accrescere la schiera di chi crede all’innocenza di Bossetti.
E può succedere che a porsi dei dubbi si sia sopraffatti dai sensi di colpa: pensare Bossetti come estraneo al caso uccide Yara per una seconda volta? È una domanda che ricorre in questi casi. Ma d’altro canto ce n’è anche un altra: se ci fosse un innocente in galera condannato all’ergastolo, mentre un assassino è ancora a piede libero? I tre gradi di giudizio danno una risposta a queste domande, ma per crederci è fondamentale avere fiducia nella giustizia italiana.
Bossetti torna a scrivere
Intanto, a UnoMattina Estate, nel segmento crime condotto da Alessandro Politi, l’avvocato Salvagni ha letto un messaggio molto duro da parte di Massimo Bossetti. “Il tempo in carcere ha una dimensione diversa - scrive Bossetti - sembra non passare mai, conti i giorni, le ore, i minuti, sbarri con una X ogni giorno che passa, segni quando hai visto l'ultima volta i tuoi cari, l’avvocato che speri sempre posso portarti una buona notizia”.
Poi la stoccata agli inquirenti: “L'unica notizia positiva che aspetto da 10 anni è la possibilità di analizzare i reperti e i campioni di Dna, quel Dna che mi ha condannato ma che - continuerò sempre a urlarlo finché avrò forza - non è il mio. Qualcuno, e sappiamo chi, ha pensato bene di distruggerlo, per evitare definitivamente che io possa dimostrare la verità”.
Domani si attende la pronuncia in merito all’archiviazione richiesta per la pm Letizia Ruggeri in merito alla questione della conservazione dei reperti.“La legge è davvero uguale per tutti? Qualcuno dovrà pagare tutto questo, perché hanno distrutto la mia vita e non hanno fatto giustizia alla povera Yara”, conclude Bossetti.
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