“Saman Abbas poteva essere salvata. E la madre non sarà mai cercata”

Al processo per l'omicidio di Saman Abbas, il fidanzato Saqib Ayub è difeso come parte civile dall'avvocato Barbara Iannuccelli. "Si è ritrovato in mezzo a un incubo che mai avrebbe immaginato di vivere", racconta la legale

“Saman Abbas poteva essere salvata. E la madre non sarà mai cercata”

Il 30 aprile 2023 sono 2 anni dalla scomparsa - e dall’omicidio - di Saman Abbas. La 18enne, che viveva a Novellara, si era rivolta ai servizi sociali italiani ed era stata posta in una struttura protetta: la sua famiglia aveva scelto per lei il matrimonio forzato con un cugino più vecchio di 10 anni in Pakistan. Ma lei si era innamorato di un quasi coetaneo, un pakistano che vive in Italia, Saqib Ayub: lui appartiene a una casta più bassa rispetto agli Abbas, che avrebbero ostacolato il matrimonio, anche attraverso minacce.

Dopo quasi un anno e mezzo dalla scomparsa, a novembre 2022 il corpo di Saman Abbas è stato ritrovato a 700 metri dalla casa dei genitori, su indicazione di uno zio alla polizia penitenziaria. Anche se gli esperti sono ancora al lavoro sulla scena del crimine, il ritrovamento ha confermato per gli inquirenti alcune ipotesi, che hanno portato all’imputazione di 5 famigliari della giovane nel processo iniziato a febbraio 2023 per sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere.

Sono stati rinviati a giudizio il padre Shabbar Abbas, in carcere in Pakistan e in attesa di eventuale estradizione, la madre Nazia Shaheen ancora latitante, e tre parenti in carcere in Italia: Danish Hasnain, che ha rivelato il luogo dell’occultamento, Ikram Ijaz e Noumanoulaq Noumanoulaq. Principale testimone per l’accusa è il fratello di Saman Abbas, oggi maggiorenne, ma ancora in una struttura protetta in Italia.

Il fidanzato della giovane, Saqib Ayub, è parte civile nel processo ed è difeso da Claudio Falleti e da Barbara Iannuccelli dell’associazione Penelope. “Le difese degli imputati hanno chiesto che in aula vengano a deporre sia Saqib che il fratello di Saman”, ha spiegato Iannuccelli a IlGiornale.it.

Avvocato Iannuccelli, lei è una dei legali di Penelope e ora lei sta difendendo Saqib Ayub in quanto parte civile nel processo per l’omicidio di Saman Abbas.

“Penelope è stata ammessa come parte civile in udienza preliminare ed eravamo due associazioni soltanto, il 17 maggio 2022. Per questo motivo, dopo l’ammissione, io ho partecipato a tutte le operazioni successive, relativamente al ritrovamento del corpo di Saman e all’autopsia e così via. Invece in udienza in Corte d’Assise, visto che c’erano 30 associazioni che chiedevano l’ammissione, allora la presidente ha ammesso soltanto quelle nel cui statuto era previsto espressamente il femminicidio oppure la natura confessionale come nel caso delle associazioni islamiche”.

Saqib Ayub ha deciso di non partecipare alle udienze, per paura e per dolore. Come sta vivendo queste fasi del processo?

“Saqib ha 20 anni e si è ritrovato in mezzo a un incubo che mai avrebbe immaginato di vivere. Ha perso nel modo peggiore la persona che amava e con la quale voleva sposarsi, tant’è che Saman e Saqib avevano organizzato il loro matrimonio, comprato anche l’abito da sposa, e si preparavano a vivere una vita insieme”.

E poi?

“Saman è tornata a casa (ad aprile 2021, ndr), perché la mamma l’ha convinta che sarebbero cessate le minacce ai danni dei parenti di Saqib. Shabbar Abbas a gennaio (2021, ndr) è andato in Pakistan e con altre persone aveva sparato in aria intorno alla casa dei genitori di Saqib, entrando anche dentro e minacciandoli di morte, perché Saqib doveva lasciar stare Saman, che era promessa sposa al cugino. Quindi sostanzialmente la povera Saman si motiva a ritornare a casa anche per questo, perché la mamma le aveva detto ‘Se torni accetteremo le tue decisioni’ e per riprendere i documenti, che sarebbero serviti a entrambi per sposarsi”.

Quindi?

“Quindi Saqib ha vissuto per un anno e mezzo il dolore di una scomparsa, che però metabolizzava dicendo ‘magari si sta nascondendo da qualche parte’. Ovviamente lui, come ogni famigliare di persona scomparsa, non pensava mai alla cosa peggiore: i famigliari si appigliano alla speranza che comunque non vedono il proprio caro per altri motivi diversi dall’evento tragico, dalla morte. E lui non ha fatto differenza. Quando è stato ritrovato il corpo, è precipitato in una condizione di maggiore paura e depressione semplicemente perché in parte si sentiva anche responsabile di tutto quello che era accaduto”.

Cos’è accaduto dopo?

“Successivamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha preso in carico le istanze che da sempre l’avvocato Falleti faceva per far entrare in Italia i genitori di Saqib, e questo avvenimento ha fatto arrivare in Italia i 4 famigliari di Saqib, i due genitori e due fratelli. E quindi diciamo che questa buona notizia, oltre che rasserenare un po’ il povero Saqib relativamente alla paura di perdere anche altri membri della sua famiglia, gli ha fatto vedere le cose in un modo completamente diverso. Per cui queste persone stanno cercando di rimettere insieme i pezzi della loro vita”.

È possibile che Saqib Ayub dovrà testimoniare?

“Saqib e il fratello di Saman hanno reso incidente probatorio. Questo vuol dire che nel 2021, nel corso delle indagini preliminari, è stata aperta una finestra dibattimentale. Sono già una prova, come se fossero date nel corso del dibattimento”.

Sono state cristallizzate.

“Lo si fa sempre quando si ha paura che la persona lasci il territorio italiano, anche perché sono verbali che vanno a finire direttamente nel fascicolo del dibattimento. Il giudice, la corte ne prende immediatamente visione senza la necessità di sentire direttamente la persona insieme a tutti gli altri testimoni del processo. Però le difese degli imputati hanno chiesto che in aula vengano a deporre sia Saqib che il fratello di Saman. Su questa richiesta la corte non ha ancora sciolto la sua riserva”.

In una passata udienza ha cercato di ricostruire possibili ed eventuali omissioni da parte dei servizi sociali. Si poteva fare di più con Saman Abbas?

“Saman sicuramente poteva essere salvata. Nel 2020, quando andò in Belgio e poi rientrò, denunciò il matrimonio forzato e tutta una serie di condotte da parte dei suoi famigliari che integravano sicuramente l’ipotesi di maltrattamenti. In Italia vige il Codice Rosso, che prevede che entro 3 giorni sia posta una sorta di distanza tra gli aguzzini e il maltrattato. Questo in Italia non è accaduto per Saman: i genitori sono risultati destinatari soltanto di un decreto penale di condanna per tentata induzione al matrimonio forzato, con l’applicazione di una multa”.

E invece?

“E invece noi riteniamo che, se fosse stato applicato il Codice Rosso non sarebbe stata Saman a dover essere portata via, ma normalmente accade che in capo agli aguzzini siano poste misure cautelari. Per quanto riguarda la gestione degli assistenti sociali, cosa che io ho teso a evidenziare in udienza, è che il 13 febbraio 2021 Saman veniva portata dai carabinieri a fare la denuncia di smarrimento del permesso di soggiorno, che però era scaduto a settembre 2020. Una denuncia del tutto inutile”.

Che significa?

“È stato un tentativo diciamo inutile dal punto di vista legale, perché invece la cosa che si sarebbe dovuta fare era quella di iniziare un percorso per far avere a Saman un legittimo titolo per farla rimanere in Italia. E questo probabilmente avrebbe disinnescato nella testa di Saman questa urgenza nell’avere i documenti. Con ogni probabilità, rasserenata su questo, avrebbe avuto il suo titolo per rimanere in Italia e magari a casa non ci sarebbe tornata più. Fermo restando la grande opera di investigazione che è stata effettuata, però è ovvio che quando si fa un processo si cercano di capire i presupposti dell’accaduto. Sicuramente Saman e Saqib erano molto innamorati, avevano questa spinta fortissima a volersi costruire un futuro insieme e non li reggeva nessuno. Saman, su questa onda propulsiva è tornata a casa, voleva i suoi documenti”.

Aristotele scrisse: “La legge è la ragione libera dalla passione”. Ha mai avuto cedimenti emotivi durante questo caso?

“Tantissimi, è l’unico motivo per cui tenacemente sono rimasta ancorata a questo processo. È stata appunto quell’immagine, quando ho visto il corpo di Saman sul lettino dell’obitorio milanese con i jeans strappati sulle ginocchia, che poi sono gli stessi jeans che indossava quella mattina mia figlia di 16 anni per andare a scuola. Ho affrontato tutto con una grande emotività ed empatia, prima di essere un avvocato sono una mamma e cerco, attraverso la mia professione, di cambiare nel mio piccolo la realtà per tutte le altre mamme che vivono una condizione simile. Davanti al corpo di Saman ho pianto, perché ho pensato che avrebbe meritato miglior fortuna. Anzi, le dirò di più”.

Dica.

“Proprio l’altro giorno abbiamo fatto un sopralluogo nei luoghi dell’omicidio di Saman, e quindi a casa sua, nel casolare dove è stato ritrovato il corpo, a casa degli imputati, e devo dire che dentro di me ho pensato: c’è tantissima gente oggi, il mondo intero si è accorto di Saman solo quando è morta. Quando era in vita?”.

Crede che Shabbar Abbas sarà estradato?

“Ho avuto sempre la netta sensazione che purtroppo non accadrà. Facendo l’avvocato e analizzando quello che è un sistema - soltanto dal 2016 il codice penale in Pakistan è cambiato e non considera più legittima la causa d’onore come motivo per un omicidio. Ci vogliono generazioni su generazioni affinché la mentalità cambi, sia per chi deve giudicare sia per l’intera popolazione di un Paese. Secondo me, si fa fatica a pensare di poter avere Shabbar, che ha ucciso la figlia per motivi di onore, perché magari per loro l’onore è ancora importante nonostante la recente modifica del codice penale”.

Ci sono speranze per l’arresto di Nazia Shaheen?

“No, assolutamente no. Ne ho parlato a lungo con un mediatore culturale che mi ha spiegato che la donna non la consegneranno mai, non la cercheranno mai. E non è vero che non sanno dove sia, sono convinta che Nazia sia a casa sua e basta. Quindi noi abbiamo a che fare con un Paese con il quale non esistono accordi di reciprocità, per cui dobbiamo stare alle loro valutazioni discrezionali, senza avere una forza cogente da parte di una legge”.

In che senso?

“Adesso Shabbar ha chiesto di partecipare in videocollegamento al processo. Che cosa dirà? Non si sa. Attraverso il suo avvocato diceva che la colpa per la morte di Saman è di Saqib. Addirittura Saqib avrebbe avuto un acconto su 20mila euro, consegnato direttamente in Pakistan alla sua famiglia, per riportare Saman, viva o morta, in Pakistan. A fronte di queste assurdità che vengono dette, che cosa ci possiamo aspettare?”.

Danish Hasnain è stato ritenuto da sempre, dagli inquirenti, l’esecutore materiale del delitto. Ora però testimonia che sia stata la cognata Nazia Shaheen a uccidere la figlia, e che lui non c’era affatto, dormiva. Crede che la posizione sostenuta da Danish sia legata a una strategia difensiva?

“Assolutamente sì. Durante il sopralluogo abbiamo visitato tre luoghi: la casa dove vivevano i 3 imputati, la casa di Saman dove lei viveva con Shabbar e Nazia e il casolare dove è stato trovato il corpo. Le garantisco che la distanza tra la casa degli imputati e la casa della famiglia Abbas non è così rilevante da giustificare ciò che si vuole far passare. Vengono messi in discussione orari delle telecamere, confrontandoli con gli orari dei tabulati e del resto ognuno fa il proprio mestiere, cerca in qualche modo di far superare un ragionevole dubbio, che è alla base del nostro sistema democratico”.

Cosa c’entrano i filmati?

“Si vuole, in buona sostanza, dimostrare che per quel video in cui si vede per l’ultima volta Saman coi genitori andare verso il viottolo, verso quell’oscurità che la inghiottirà per sempre, in quell’orario Danish non era lì.

E quindi buttare la responsabilità sugli altri due, anche perché, con il ritrovamento del corpo, oggi possiamo dire che Saman non è morta di freddo, qualcuno l’ha uccisa. La difesa di Danish fa il suo mestiere, credo che sarà molto difficile individuare chi materialmente ha compiuto l’omicidio”.

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