Giustizia per Saman Abbas e giusto processo per gli imputati in arresto. Non è semplicemente il mantra delle autorità italiane negli ultimi mesi, bensì è azione ed è mettere tutte le forze in campo per raggiungere un risultato che porrà un punto alla casistica giudiziaria su questo tipo di reati.
Così, se l’estradizione per il padre Shabbar Abbas, oggetto di un altro rinvio a Islamabad, tarda ad arrivare, la corte d’assise di Reggio Emilia ci prova con il processo in videoconferenza. Niente processo in contumacia quindi, tanto più che Shabbar ha rifiutato un avvocato italiano per il suo procedimento, ma probabilmente ci sarà un processo in videoconferenza: saranno trasmessi gli atti affinché questo sia reso possibile.
“Noi - ha chiarito la presidente della corte d'appello Cristina Beretti - chiediamo assistenza per la predisposizione di una videoconferenza per consentire ad Abbas di partecipare al processo. I tempi non li possiamo stabilire noi, la richiesta sarà inoltrata al ministero per gli Affari internazionali”. Gli atti saranno inviati anche al ministero della Giustizia, per poi giungere in Pakistan per la notifica.
Intanto, come accennato, c’è l’ennesimo rinvio di Shabbar: si potrebbe parlare di estradizione il 21 febbraio, mentre l’udienza nel processo italiano - proprio a causa dei tempi burocratici per il videocollegamento - è stata fissata al 17 marzo.
Prosegue tuttavia l’iter giudiziario in Italia per altri tre imputati, ovvero quelli tratti in arresto o già estradati: lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Noumanoulaq Noumanoulaq. Nulla di fatto ancora per la madre Nazia Shaheen, rinviata anche lei a giudizio ma latitante.
Cosa potrà stabilire il processo? Che Saman sia stata uccisa è una certezza. Così come è un dato certo che si sia opposta al matrimonio forzato, continuando a sognare le nozze con il coetaneo Saqib Ayub, conosciuto proprio in Italia. La 18enne scomparve la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio da Novellara, e il suo corpo è stato ritrovato in una buca a 700 metri dalla casa dove vivevano gli Abbas, su indicazione tra l’altro di Danish, che finora gli inquirenti hanno ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio.
Il ruolo di Danish, che smentisce di averlo fatto, sarà quindi vagliato dal tribunale, così come si spera accada per Shabbar. L’uomo afferma infatti che la figlia sia stata ostaggio delle autorità locali italiane, ovvero i servizi sociali, e che quel corpo trovato non sia il suo - ma c’è l’esame del Dna che lo prova scientificamente.
Il suo legale Akhtar Mahmood si dovrà trovare a fronteggiare tutte le prove a carico del suo assistito, tra cui un’intercettazione telefonica in cui Shabbar avrebbe pronunciato le parole: “L’ho uccisa io, l’ho fatto per il mio onore”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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