È il 4 maggio 1998, in Vaticano sembra tutto tranquillo. Molte guardie svizzere si preparano a ricevere le benemerenze, arriveranno nuovi membri della Guardia solo due giorni più tardi. Cedric Tornay no, non avrà la sua benemerenza. Intorno alle 21 Tornay, il comandante della Guardia svizzera Alois Esterman e la moglie di questi, la diplomatica Gladys Meza Romero, vengono trovati morti, uccisi da un’arma da fuoco.
Nessuno ha sentito nulla che possa far presagire la tragedia, chi parla di un tonfo, chi di qualcosa che possa essere parso un colpo di pistola. Poco prima di apparire sulla scena del delitto, Tornay aveva lasciato a un commilitone una lettera alla madre, nel caso gli fosse accaduto qualcosa. Estermann, celebre anche ai profani per essere apparso negli scatti in cui Papa Giovanni Paolo II fu colpito da Ali Agca, era invece al telefono con un conoscente.
La Sala stampa vaticana è abbastanza veloce nel rendere nota la presunta dinamica, poi confermata da autopsia e indagine interna: secondo il Vaticano, Tornay avrebbe ucciso Estermann e la moglie, per poi spararsi in bocca. Ma ci sono diversi dettagli che non tornano: per esempio l’arma utilizzata, una pistola da guerra che non provoca certo un rumore sordo come un tonfo. O che in casa del rigoroso Estermann potesse entrare una guardia mentre la moglie era in tuta.
C’è chi tira fuori ipotesi eccessivamente fantasiose tra l’altro, come un triangolo amoroso, una relazione omosessuale tra il comandante e Tornay, o addirittura che Estermann fosse un informatore della Stasi. Tutte ipotesi da scartare, poiché prive di fondamento, ma a riportare all’attenzione dell’opinione pubblica la vicenda è Laura Sgrò, avvocato in Italia e presso la Corte d’Appello dello Stato della Città del Vaticano, oltre che presso l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica. Il suo nome è celebre, tra l’altro, poiché legale della famiglia di Emanuela Orlandi. Sgrò ha scritto di recente “Sangue in Vaticano, libro che racconta la vicenda luttuosa che vede al centro Tornay ed Estermann, mettendo in risalto anche tutte le contraddizioni del caso.
Avvocato Sgrò, perché un libro su questo argomento a quasi 25 anni di distanza?
“Esattamente perché sono passati quasi 25 anni. Questa vicenda presenta ancora tutta una serie di tratti oscuri, nonostante il tempo trascorso, nonostante ci sia stata un’indagine e nonostante l’indagine abbia avuto da subito un colpevole, Cedric Tornay. Ho scritto questo libro poiché sono riuscita finalmente, dopo una lunga battaglia, a visionare il fascicolo istruttorio, che non era mai stato visionato da nessuno, neanche dalla famiglia di Tornay, e io ne ho tratto alcune conclusioni”.
Per lei, quali sono i maggiori particolari che non tornano, cui viene dedicato tra l’altro un intero capitolo, rispetto alla versione ufficiale?
“La prima cosa che a me ha destato grandissimo sospetto e pensiero nasce da quello che mi ha raccontato Muguette Baudat. La madre di Cedric mi ha spiegato come lei apprese della morte del figlio. Mi disse, io lo racconto anche nel libro, che alle 10.30 circa di sera qualcuno si recò a casa sua, il parroco della sua città, per dirle che era successo qualcosa di grave. Lei non era in casa, c’era la figlia Sarah, che la raggiunse telefonicamente e Muguette tornò a casa. Quando io sfoglio il fascicolo, leggo che alle 10.30 di sera i medici legali entrarono nell’appartamento di Estermann”.
Un’incongruenza temporale.
“Quindi mi chiedo come sia possibile che alla madre viene consegnata la ricostruzione che verrà fatta qualche ora dopo dalla Sala stampa vaticana, quando ancora i medici legali dovevano ancora entrare in casa. Nessuno aveva neppure visionato la pistola - che avrebbe commesso il duplice omicidio e poi sarebbe stata utilizzata da Cedric per suicidarsi - perché era sotto il petto di Cedric. Chi, entrando di fronte a una scena del genere, può dire quello che è successo? Viene detto prima che i medici legali entrino in casa degli Estermann e questo è sconvolgente”.
C’è dell’altro?
“La scena è stata totalmente contaminata. Da quel quadro, di quella scena del crimine, non si può trarre nessuna conseguenza che dia quella certezza morale di cui parla Navarro-Valls appena qualche ora dopo i fatti stessi. Si contano più di 20 persone che entrano in quell'appartamento, e neanche censite tutte, perché il verbale, come indico nel libro insieme a diversi altri elementi, a un certo punto dice: ‘e altre persone’. Nessuno ha calzari, nessuno ha guanti, non esiste un video di quel posto, le foto sono state scattate senza seguire alcuna forma di protocollo, non esistono rilievi per quanto riguarda il sangue. Quel sangue, messo lì, a essere molto fantasiosi, avrebbe potuto appartenere a chiunque, non alle tre persone uccise. Francamente, davanti a un quadro del genere, io avrei difficoltà ad attribuire la colpa a chiunque, non solo a Cedric”.
Affrontare le ricerche sul caso è stato molto difficile, peggio di una corsa a ostacoli, ma lei è andata avanti. Cosa l’ha motivata?
“Muguette Baudat. Io la descrivo forte come una roccia e dolce come la cioccolata. Però la sua forza è marmorea. Lei vuole sapere cosa è successo a suo figlio, non ha mai detto che suo figlio non è colpevole, ha sempre detto: ‘Datemi le prove che mio figlio è colpevole’. Che è una cosa ben diversa. La sua forza e la sua determinazione mi hanno fatta andare avanti. Lei meritava delle risposte e io le avevo promesso che avrei fatto il possibile per aiutarla a trovare la verità, o, se non la verità, qualche frammento di verità”.
Si è fatta un’idea su cosa possa essere accaduto?
“Secondo me ci sono tre omicidi, questo è il mio punto di vista. Per il resto, ho una mia idea, ma la devo tenere per me finché non ho le prove che confermino la mia teoria”.
Come mai la scelta di dedicare ampie pagine all’incontro con Muguette Baudat e alla sua figura?
“È una donna straordinaria, è lei che mi dà coraggio. E vale la pena tutta l’attività fatta, il tempo speso e che spenderò, per lei vale la pena farlo”.
Nel libro viene nominata anche un’altra madre, Maria Pezzano Orlandi, madre di Emanuela. Maria e Muguette sono simbolicamente vicine?
“Assolutamente sì. Sono due donne che cercano verità e giustizia su un loro strettissimo famigliare, sui loro figli. Sono due madri coraggiose, sono due madri incolpevoli, che si sono ritrovate in mezzo a giochi, storie e strutture più grandi di loro e non sono state accolte adeguatamente”.
In che senso?
“Per Muguette non c’è stata nessuna forma di accoglienza, nessun pontefice l’ha ricevuta. In quest’ultimo frangente, Papa Francesco, dopo avergli inviato il mio libro con un mio biglietto personale, mi ha scritto riservando belle parole per Muguette Baudat, ma è stata l’unica espressione di un pontificato nei suoi confronti. Neppure Giovanni Paolo II, quando venne per il funerale di suo figlio, la ricevette”.
E Maria?
“Per quanto riguarda Maria Pezzano Orlandi, Giovanni Paolo II, nell'imminenza della sparizione di Emanuela ha mostrato vicinanza, Papa Ratzinger non ha espresso una parola, non ha mai pronunciato il nome di Emanuela, nonostante gli fosse stato richiesto espressamente dagli Orlandi un ricordo di Emanuela per il venticinquesimo anniversario dalla sua scomparsa. Nel pontificato di Francesco sono successe delle cose note a tutti, ma noi auspichiamo una completa collaborazione, che di fatto non riusciamo ad avere. Ho scritto al Promotore di Giustizia perché mi ricevesse quasi un anno fa, aspetto ancora che mi risponda”.
Ha molta stima di Muguette e Maria.
“Muguette e Maria sono due donne che hanno subito violenze inaudite, la sparizione di un congiunto in queste circostanze per me è una forma di violenza gravissima, ma loro sono donne coraggiosissime. Sopravvivere a eventi del genere credo che sia un’opera immensa”.
La vicenda di quello che è un omicidio-suicidio secondo le versioni ufficiali è legata ad altri misteri vaticani?
“Plausibile. E lo è per un solo motivo, che va anche contro a delle informazioni che io ho visto nel fascicolo”.
Ovvero?
"Secondo la ricostruzione della procura vaticana, Estermann era un uomo che non aveva contezza di alcuna documentazione riservata. Senza nessuna indagine interna alla Guardia Svizzera e senza neppure interrogare nessun congiunto o amico del comandante, la magistratura vaticana asseriva una cosa del genere. Lo reputo pressoché impossibile, perché sarebbe stato contro il compito naturale della Guardia Svizzera pontificia, che ha la tutela del Santo Padre e del Palazzo Apostolico”.
Quindi?
“E allora mi chiedo: come fa il capo della Guardia Svizzera a non conoscere - in quel pontificato peraltro, in cui Giovanni Paolo II era sotto la lente d’ingrandimento di Paesi amici e nemici - incartamenti riservati? Com’è possibile che la persona più vicina al Pontefice, correlata alla sua sicurezza, non avesse conoscenza di file riservati? Impossibile. Non avrebbe potuto difenderlo.
Il Santo Padre non sarebbe stato al sicuro. E non mi stupirei se tra questi file riservati cui Estermann, a mio avviso, ebbe accesso, ci fosse anche quello su Emanuela Orlandi. Potrebbe quindi esserci un filo tra queste vicende, volontariamente tenuto celato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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