Se le paranze "uccidono" le mafie

I fatti di Molfetta dei giorni scorsi sollevano interrogativi sul cambio della guardia generazionale dentro i clan

Se le paranze "uccidono" le mafie
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E se la fine delle mafie fosse nelle mani delle paranze? La rissa tra le gang di Molfetta costata la vita a una ragazzina innocente riaccende i riflettori sull'inevitabile cambio della guardia generazionale dentro i clan, rivendicato a colpi di pistola. È l'era dei social, bellezza. E tu non puoi farci niente, le mafie vanno esibite.

Per la camorra è sempre stato così. Alla periferia di Napoli, la più estrema, quella flegrea, le paranze dei bambini sono tornate a farsi la guerra, come ai tempi delle spianate in centro tra l'Alleanza di Secondigliano e il clan Mazzarella in cui morì Emanuele Sibillo (nella foto), nome in codice ES17, ammazzato alle spalle nel 2015 e diventato un'icona criminale per il suo look da jihadista le cui ceneri furono persino venerate da un negoziante dei Decumani, minacciato con le armi. Anche in Sicilia ormai la droga circola su Telegram, che sia hashish, marijuana o quelle sintetiche, i postini che arrivano a casa sono ragazzini di 12, 13 anni che raccolgono i 20 euro sulle chat, a volte si fanno pagare con prepagate o Iban fantasma. Dalla Banda di Casanova a Bolzano agli Orfanelli nel Salento, dalle MS13 di Milano e Genova ai baby criminali di Roma e Torino, si moltiplicano gli allarmi, mentre le curve degli stadi sono un verminaio di cui si riparla (sempre poco) dopo la morte di Antonio Bellocco, erede della cosca di 'ndrangheta, squartato dall'amico ultrà interista Andrea Beretta. Qualcuno prima o poi lo vendicherà, a costo di far saltare il lucroso business finora silenzioso. Possibile che l'invincibile 'ndrangheta che muove miliardi grazie alla cocaina, rischi di sparire per quattro ragazzini malcresciuti? In Calabria qualche anno fa le ultime leve di un feroce casato - soprannominati i Teganini - volevano gestire la movida reggina a colpi di pistola.

La task force mandata a Milano non ha salvato il rampollo del casato De Stefano, Giorgino Condello Sibio, beccato per qualche entusiasmo social e qualche sgrammaticatura mafiosa di troppo. Sono per lo più orfani di padri, sepolti in galera o al cimitero perché vittime della mattanza che dal 1985 al 1991 fece mille morti, la storia delle guerre di mafia non ha insegnato nulla. Sparate, così sparite.

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