Caro Direttore Feltri, sono sconvolta da quanto è accaduto a Cosenza, dove un uomo e una donna, desiderosi di diventare genitori, si sono introdotti, nel tardo pomeriggio di martedì scorso, all'interno di una clinica per rapire un neonato. E hanno portato via dalle braccia di una mamma una neonata di un solo giorno di vita. Non riesco ad immaginare come si sia sentita questa madre, la sua disperazione, il suo terrore davanti all'ipotesi di non vedere più la sua creatura, il non sapere in quali mani fosse e cosa le sarebbe accaduto. Una violenza terribile. Può un nostro desiderio indurci ad infliggere una sofferenza tanto profonda al nostro prossimo? In quale mondo viviamo?
Simonetta De Felice
Cara Simonetta,
no, non esiste alcun desiderio, per quanto potente e nobile, che possa in qualche modo giustificare l'atto di arrecare sofferenza ad un altro individuo. Ma, se ve ne fosse uno che meno di altri potrebbe rendere ingiustificato e ingiustificabile il compiere del male, sarebbe proprio il desiderio di genitorialità, che dovrebbe sgorgare da sentimenti nobili di amore e generosità. Pensare di diventare o farsi genitori strappando un bambino dal petto di una madre è semplicemente ignobile, oltre che folle e crudele. Eppure è accaduto. Una donna, con la complicità del marito, ha simulato per mesi lo stato interessante, documentando amici e parenti attraverso foto e post pubblicati sui social network, operazioni che ci dicono che il piano è stato studiato e portato avanti per mesi e mesi, forse anni, con cura, perizia, attenzione, meticolosità. Mi dispiace dovere inveire contro questa coppia, ma si tratta di una associazione criminale composta da due coniugi che, probabilmente non riuscendo ad avere figli, non si sono rassegnati e hanno progettato di prendersi il figlio di altri, allo scopo di soddisfare quella aspettativa irrealizzata e che appariva loro irrealizzabile. Inevitabile pensare ora ai bambini abbandonati, gettati nella spazzatura, al neonato morto di recente in una culla termica destinata ad accogliere i piccoli rifiutati alla nascita, culla che non ha funzionato e dove il piccolo è morto. Tante creature vengono buttate via come fossero cose, mentre migliaia di coppie ma anche di singoli vorrebbero tanto potere allevare e amare un pargoletto. Attenzione però: Rosa Vespa e Aqua Moses, ossia i due che hanno rapito Sofia martedì sera, ponendo in essere questa condotta hanno dimostrato di non potere disporre di quelle capacità imprescindibili per essere bravi genitori, ovvero responsabili. Non li includo tra quegli uomini e quelle donne che vorrebbero avere un figlio e che potrebbero dare a quest'ultimo quello di cui avrebbe bisogno. Forse sarò troppo duro, ma non puoi occuparti di una vita quando le tue azioni testimoniano che non hai rispetto della vita. Rapire un neonato, sottraendolo con l'inganno dal seno della mamma, realizza una violenza che colpisce in primis il neonato medesimo. Trattasi di un atto di egoismo, non soltanto criminale: per appagare la mia voglia rubo un essere umano, come se si trattasse di un pacchetto di caramelle preso al supermercato. Il tutto senza preoccuparmi delle conseguenze penali e non, ossia delle ripercussioni devastanti che questa decisione determinerà su decine di vite, inclusa quella del bambino di cui pure pretendo di farmi madre in modo fraudolento.
Il fatto che la gravidanza sia stata pubblicata sulla rete, esibita davanti agli utenti dei social network, anche per costruire una storia credibile nel momento in cui sarebbe comparso dal nulla un figlio scippato, ci narra anche di una ossessione che sta divorando l'essere umano, il bisogno di apparire, di confermare davanti agli altri se stessi, di fornire un eccesso di prove che quasi ci autoconvinca, e che non convinca solo il prossimo, che siamo felici, che abbiamo ottenuto quello che volevamo, che la nostra esistenza è normale, come quelle che vengono esposte in queste vetrine virtuali.
Un mondo sintetico, essenzialmente finto, dove non conta essere genitori, non è questo il desiderio dell'anima che viene perseguito, bensì mostrare di essere stati capaci di esserlo. Di avercela fatta. Di avere il proprio trofeo.
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