L'altra sera a San Ferdinando di Rosarno il casato di 'ndrangheta ha sepolto il suo erede Antonio Bellocco (nella foto), ammazzato nel Milanese dall'amico ultrà dell'Inter Andrea Beretta con cui si spartiva il lucroso business delle curve a base di coca, panozzi, security e parcheggi. Niente esequie pubbliche, dice la Questura di Reggio Calabria, per evitare «l'ostentazione della forza della famiglia criminale» e scongiurare occasioni propizie per «incontrare tra affiliati, cementare alleanze o programmare iniziative illegali». Sono proclami che puzzano di Novecento stantìo, nell'era dei criptofonini e dei pizzini non servono pretesti per tramare alleanze o affari.
San Ferdinando di Rosarno è già cosa dei Bellocco, lo dicono persino le sentenze. Quel funerale sarebbe stato radiografato, fotogramma per fotogramma dagli inquirenti. Perché la verità su quell'omicidio laggiù la sanno tutti. Una cerimonia avrebbe attirato cronisti e ficcanaso, avrebbe acceso i riflettori sulla Piana di Gioia Tauro e portato in tv le facce contrite dei mafiosi. Del delitto nessun giornalone se ne occupa più o quasi, le macerie di questo lembo di Mediterraneo guidato dal 41bis da donna Aurora Spanò - paradigma vivente di una 'ndrangheta matriarcale - finiscono ancora una volta sotto il tappeto.
In Calabria degrado e povertà dovrebbero scatenare una banlieue al giorno, invece in questa terra senza buoni non succede nulla.
La 'ndrangheta vince anche se i suoi eredi muoiono perché si è nascosta in mezzo allo schifo che ha creato, si è eclissata come i miliardi del narcotraffico spariti dentro l'economia legale grazie alle alchimie contabili della borghesia mafiosa, che da Milano a Londra continua indisturbata a prosperare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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