“Tanto sono tutte bagasce di merda. Qui qualcuno deve pur fare pulizia!”. Con queste parole Giancarlo Giudice ha giustificato i suoi nove omicidi commessi tra il dicembre del 1983 e il giugno del 1986, delitti che gli valsero il soprannome di mostro di Torino. Un uomo dal passato difficile, lavoratore instancabile, ligio al dovere. Ma non solo. Nello stesso periodo del mostro di Firenze, Giudice ha assassinato a sangue freddo e senza un rigido modus operandi delle prostitute innocenti.
Infanzia e adolescenza
Giancarlo Giudice nasce a Torino l’11 marzo del 1952. Il padre è un reduce dalla campagna di Russia, operaio Fiat e con il vizio dell’alcol. Con la madre stringe un bellissimo legame, ma la donna si ammala di cuore quando il figlio ha appena otto anni. L’infanzia è infelice e nonostante sia un bambino deve prestare le cure alla madre, facendo le veci del padre. In collegio le cose non vanno meglio, tra castighi e violenze.
All’età di 13 anni Giancarlo Giudice perde la madre, sconfitta dalla malattia. Una tragedia incommensurabile, che spinge il ragazzo a tentare il suicidio in più di un’occasione. Dopo l’ennesimo tentativo – ingoiando delle pastiglie dell’infermeria del collegio – viene rispedito a casa del padre. Ma la situazione non migliora. Il padre si risposa con una donna molto più giovane di lui e trascura il figlio, che entra subito in contrasto con la madrina. Una situazione insostenibile, che spinge il genitore a trasferirsi in Calabria e ad abbandonare il figlio in un istituto. Uno strappo difficile, impossibile da rimarginare. Tanto da scatenare un moto di rabbia nei confronti delle donne che esploderà diversi anni dopo.
Giancarlo Giudice diventa il mostro di Torino
Dopo aver perso anche il padre, Giancarlo Giudice inizia a fare uso di droghe, dalla cocaina all’LSD. Cambia lavoro continuamente, fino a quando – all’età di 27 anni – inizia a lavorare come camionista per una ditta di autotrasporti di Cigliano. Si fa conoscere come uno stacanovista, apprezzato dai colleghi per la tenacia e per la sua puntualità, complici anche le sostanze stupefacenti. Come camionista ha la possibilità di stare in movimento e di frequentare prostitute, appagando la sua ossessione per il sesso. Fino a quando, alla fine del 1983, diventa un serial killer.
Il primo assassinio avviene nel 27 dicembre del 1983. Giancarlo Giudice incontra la prostituta Francesca Pecoraro e la uccide a casa sua: la quarantenne viene strangolata e bruciata in un’auto alla periferia di Torino. La sua identità verrà scoperta solo nell’agosto del 1986 grazie al lavoro della polizia scientifica. Ma Giudice non si ferma. Pochi giorni dopo, il 3 gennaio del 1984, incontra Giovanna Bricchi: la sessantaquattrenne viene strangolata e gettata nel Po. Passa una settimana e uccide un’altra passeggiatrice, la quarantottenne Annunziata Pafundo: anche lei viene strangolata, ma il suo corpo viene abbandonato privo di vestiti a Settimo Torinese.
La catena di omicidi
Come evidenziato da Ruben De Luca nel suo libro “Serial killer”, Giancarlo Giudice sceglie sempre lo stesso tipo di vittima – prostitute “vecchie e brutte” – perché prova un piacere particolare ad accanirsi su di loro. Ma non solo. In questo tipo di vittime vi rispecchia l’immagine della matrigna sempre odiata, rea di aver preso il posto della madre.
La furia omicida di Giancarlo Giudice non si placa: il 7 aprile del 1985 uccide a coltellate Addolorata Benvenuto, il 2 marzo del 1986 strangola e getta in un canale Maria Corda, mentre il 30 marzo seguente elimina a colpi di pistola Maria Galfrè. Il 2 aprile la vittima è la sessantasettenne Laura Belmonte, mentre il 22 maggio è Clelia Mollo. Entrambe vengono strangolate. Infine, il 28 giugno è il turno di Maria Rosa Paoli: la trentasettenne, ex terrorista affiliata ai Nap, viene ammazzata a colpi di pistola e gettata in un canale nei pressi di Santhià.
L'arresto e la condanna
La scia criminale di Giancarlo Giudice si interrompe subito dopo l’omicidio della Paoli. Il mostro di Torino viene fermato da una pattuglia della polizia per un controllo di routine e gli agenti notano delle macchie di sangue fresco. Il serial killer non cerca scuse: “Ho appena ucciso una prostituta ho buttato il suo corpo in un campo, credo nell’alessandrino”.
Accertato il delitto, Giancarlo Giudice confessa tutti gli altri omicidi compiuti. Viene rinchiuso per due mesi nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia.
Il 22 marzo del 1989 viene condannato in primo grado all’ergastolo, mentre a novembre, in appello, la pena viene ridotta a trenta anni di reclusione, con l’aggiunta di altri tre da trascorrere in un manicomio criminale. Nell’ottobre del 2008, dopo ventidue anni di carcere, viene scarcerato: attualmente vive con una nuova identità in una località ignota.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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