Il mistero di Tex Watson, il vero "capo" Manson family: "Così rivendicò le stragi"

La figura di Tex Watson, membro della Manson Family. “È un po’ un mistero”

Tex Watson oggi e ieri
Tex Watson oggi e ieri

Il 9 e 10 agosto 1969 la Manson Family uccise 7 persone in due differenti stragi: il massacro di Cielo Drive in cui vennero uccisi l’attrice Sharon Tate, il parrucchiere dei vip Jay Sebring, l’ereditiera Abigail Folger, il fidanzato di questa Wojciech Frykowski e il custode Steven Parent, e poi gli assassinii di Leno e Rosemary LaBianca. In realtà le vittime furono in un certo senso 8: Tate era incinta e vicina al parto, avrebbe dovuto dare alla luce si lì a poco il piccolo Patrick, figlio del marito, il regista Roman Polanski.

Quando si parla di questi avvenimenti, inevitabilmente li si ascrive totalmente a Charles Manson, leader della Manson Family, morto in carcere nel 2017 all’età di 83 anni. Ma una delle figure più importanti per capire la family è sicuramente quella di Tex Watson: classe 1945, ex studente modello, si unì alla Family dopo aver dato un passaggio in autostop a Dennis Wilson dei Beach Boys. Watson fu la guida nei due gruppi che commisero le due stragi in vista dell’Helter Skelter, il sovvertimento della società in cui la Family sarebbe stata risparmiata.

Anche Watson ha trascorso finora tutta la sua vita in carcere. “Gli stessi membri della Family non hanno mai detto che Manson abbia detto loro di agire in quel modo e a processo lo stesso Watson ha rivendicato la titolarità delle stragi”, spiega a Il Giornale Giacomo Brunoro che, con Jacopo Pezzan, conduce il podcast True Crime Diaries.

Brunoro, chi era Tex Watson all’interno della Family?

“Questa è una domanda cruciale. Bobby Beausoleil, un altro membro della Family che non partecipò agli omicidi Tate-LaBianca perché si trovava in carcere per l’omicidio Hinman, sostenne che il vero capo militare, il vero capo carismatico dal punto di vista della violenza, fu proprio Tex Watson. Che era un ragazzo di buona famiglia, nato a Dallas ed entrato nella Family. Infatti Tex Watson è colui che guida i due assalti del 9 e 10 agosto. Perché Manson, in tutto ciò, ha un ruolo limitato, come istigatore - cosa per cui è stato condannato. In carcere Watson si è convertito, è diventato un cristiano rinato: attualmente è nel Richard Donovan Correctional Facility di San Diego e gli è stata negata per 18 volte la libertà sulla parola. Watson è un po’ un mistero: c’è chi ha ipotizzato che abbia commesso queste stragi, al di là dell’abuso di droghe, per dimostrare di essere il capo della Family”.

Pur cercando di fare apologia di se stesso, sul sito di Watson c’è scritto: “Charlie Manson era la prima persona che avevo incontrato a sapere veramente cosa fosse l’amore”. Come si può leggere l’affermazione?

“C’è un fatto innegabile, ed è a mio avviso l’elemento più inquietante di tutta la storia della Family, ovvero il magnetismo che Manson riusciva a esercitare sulle persone. Aveva uno sguardo ipnotico ed entrava in empatia, sebbene in maniera malata, con le persone: una capacità probabilmente maturata quando già era nel carcere minorile. È probabile che anche Watson sia rimasto soggiogato dalla personalità magica, dal punto di vista esoterico, di Manson”.

Ci sono prove tangibili per ipotizzare che Watson sia stato anche il teorico degli omicidi Tate-LaBianca?

“Le sole prove che abbiamo sono le dichiarazioni fatte a processo. Manson ha ribadito più volte di aver detto alla Family di fare ciò che avessero voluto, non si è mai preso nessuna responsabilità. Gli stessi membri della Family non hanno mai detto che Manson abbia detto loro di agire in quel modo e a processo lo stesso Watson ha rivendicato la titolarità delle stragi. Dalle altre testimonianze Watson ha guidato l’azione. Tuttavia dobbiamo porci una domanda: quanto sono affidabili le dichiarazioni di persone evidentemente plagiate e disturbate anche dall’effetto di droghe allucinogene?”.

Tutto ciò che si sa delle stragi viene dal processo. Come hanno impattato sull’opinione pubblica queste informazioni, tenendo anche presente la figura, non certo in secondo piano, del procuratore Vincent Bugliosi?

“C’è una versione critica nei confronti di Bugliosi, secondo cui tutto il processo e il cancan mediatico che ne derivò sarebbe stata una mossa politica per ottenere visibilità. Ma, secondo me, Bugliosi è stato abilissimo a costruire la teoria dell’Helter Skelter, vera o falsa che fosse, perché di fatto non c’erano prove per condannare Manson tranne che per istigazione a delinquere. Il fine era incarcerare Manson, al tempo il nemico pubblico numero uno. Manson è stato il grande assassino del sogno americano: i delitti arrivano nell’estate del ’69, dopo l’ondata libertaria del ’68, la rivoluzione dei figli dei fiori. Queste community che venivano viste in maniera positiva sono state definitivamente affossate dagli omicidi Tate-LaBianca: un macigno generazionale su un sogno”.

Tornando a Watson: nel ’71 viene condannato, nel ’75 si converte, nel ’79 fonda il proprio cult. Come si può leggere il cambiamento, se c’è stato cambiamento?

“Non credo che Watson sia cambiato, credo che abbia approfittato del periodo in carcere per capire cosa volesse fare veramente, ovvero fondare una setta. Il suo cult è una religione settaria che di fatto riporta l’attenzione su Watson ed è anche una forma di sostegno economico. Secondo me tutti i ragazzi capitati nella Family avevano un forte bisogno di spiritualità, chiamiamola così, ed erano anche molto immaturi o consci di ciò che poteva succedere”.

Il risvolto economico si sposa bene con il fatto che Watson sia laureato in economica aziendale.

“Lui veniva da una buona famiglia, così come molti soggetti gravitati nella Family. Angela Lansbury non lavorò per un anno, per riuscire a liberare la figlia che si era unita alla Family. Non erano semplici sbandati, venivano da famiglie colte. Watson non è uno sprovveduto”.

Avete dedicato due puntate del vostro podcast alla Manson Family. Come mai?

“C’è un motivo pratico: Jacopo Pezzan ha vissuto per 20 anni a Los Angeles e abbiamo potuto visitare i luoghi in cui si è mossa la family, compresa la zona di Van Nuys, dove Manson aveva registrato i suoi brani. C’è poi una componente che è il fascino narrativo di questa storia. Nonostante la violenza estrema e raccapricciante, è una storia con tantissimi piani di lettura”.

Mutuando il titolo di una puntata del vostro podcast: cosa rende celebre un caso di cronaca nera? Perché la Manson Family continua a interessare nonostante lo stesso Manson sia morto e sepolto?

“Per diverse ragioni. Una delle vittime era Sharon Tate, un’attrice bellissima, all’apice del successo, uccisa in maniera violentissima mentre era incinta. E il delitto è avvenuto in una di quelle ville di Hollywood, uno scenario che apparirebbe da sogno, ma il delitto ha rivelato il lato oscuro dell’essere umano.

C’è però un aspetto che ci fa paura e che ci spinge a chiederci: se ci fossimo trovati in quella situazione, saremmo entrati nella Family? È un po’ uno scavare dentro noi stessi, domandarsi se a volte anche noi non ci siamo lasciati condizionare da figure che apparivano come guru ma non lo erano. Infine c’è lo sguardo folle di Manson: noi non sappiamo nulla di lui se non poche parole che ha pronunciato, soprattutto sciocchezze. È sempre rimasto come una presenza inquietante”.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica