Diciamo cane al cane.
A Eboli, ieri, un piccolo di tredici mesi è stato azzannato e ucciso da due pitbull di un'amica di famiglia. Qualche giorno prima una donna a Lodi era stata azzannata dal suo labrador che proprio non aveva voglia di essere baciato: le aveva ringhiato una prima volta, lei aveva ignorato l'avvertimento continuando a pretendere smancerie da fidanzati. Un intervento chirurgico ha provveduto a ricostruirle il naso.
I due episodi ci ricordano, come altri casi di cronaca purtroppo troppo frequenti, che quella di ammansire totalmente la natura animale e la sua imprevedibilità è un'utopia che l'uomo si è autoassegnato nella sua infinita arroganza di specie padrona. Non va così. Gli uomini sono uomini, i cani sono cani, e mettersi in casa un animale appartenente a una razza pericolosa - anche se la legge italiana ha incautamente sbianchettato questa categoria introdotta nel 2007 e con essa le precauzioni a cui i proprietari si sarebbero dovuto attenere - è come partecipare a un safari a bordo di un monopattino elettrico. Lo fareste?
Il migliore amico dell'uomo può diventarne il peggiore nemico in una nemesi senza guinzaglio; un monito che la gran parte dei padroni ignora impunemente, perché ognuno pensa in fondo di possedere la sicura di quello che da animale affettuoso può trasformarsi in arma. Un tempo i cani erano animali, svolgevano mansioni per nostro conto, a loro affidavamo solo marginalmente il nostro corredo emotivo. Un rapporto leale e corretto.
Mai ci saremmo sognati di far loro indossare cappotti impermeabili o di considerali come dei
figli. Umanizzare il cane vuol dire prima di tutto non rispettarlo, e non rispettare nemmeno noi. Non è questione di superiorità o di padronanza, ma di coltivare, anzi allevare, le differenze. Che sono il bello della Terra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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