Nel giallo di Liliana Resinovich, scomparsa il 14 dicembre 2021 a Trieste, sembrano sempre più fondamentali le immagini delle telecamere di videosorveglianza che - gli inquirenti ipotizzano - avrebbero ripreso Lilly proprio quel giorno.
La donna fu trovata cadavere tre settimane più tardi, per cui si ritiene che quelle riprese siano le ultime di lei in vita. Ma c’è chi non è certo che si tratti di lei, in primis il fratello Sergio Resinovich, che ha più volte sollevato dubbi in particolare nella ripresa dell’autobus di piazzale Gioberti. Da parte loro, gli inquirenti vogliono andare a fondo, tanto che tra i 25 punti del gip nelle nuove indagini si mira a “precisare sulla base di quale criterio è stato determinato lo scarto di 5 minuti stabilito in relazione all'impianto di videosorveglianza della scuola di polizia di via Damiano Chiesa” e a “verificare se l'orario riportato nei filmati della telecamera dell'autobus, denominata Cam 1, relativi alla giornata del 14/12/2021, corrisponda o meno all'orario effettivo”.
“Credo che sia molto importante, come giustamente scrive il giudice, determinare se anche la telecamera di piazzale Gioberti, oltre a quella di via Damiano Chiesa, sia in orario. Se ci sono quasi 7 minuti di scarto, le indagini potrebbero prendere un’altra direzione”, dice a Il Giornale l'esperta informatica Sara Capoccitti, criminalista e analista forense che lavora per l’autorità giudiziaria (ma non in questo caso di specie) e che ha fondato il progetto Forensically.
Dottoressa Capoccitti, come si fa a riconoscere una persona sulla base di una ripresa di videosorveglianza?
“Esistono linee guida internazionali sulla metodologia da adottare per identificare soggetti tramite videosorveglianza. Vengono estratti frame da file provenienti da impianti di videosorveglianza e si procede per tratti biometrici, in particolare quelli del viso che possono rendere utile il riconoscimento facciale. Questa è la via preliminare, ma non sempre i tratti possono essere recuperati: per la scarsa qualità delle immagini, perché il soggetto indossa una mascherina o uno scaldacollo per esempio, ma soprattutto la distanza dall’obbiettivo. Questi fattori rendono difficoltosa l’identificazione e quindi l’analisi procede sotto altri aspetti, per esempio i tratti caratterizzanti e quelli individualizzanti”.
Di cosa si tratta?
“I tratti caratterizzanti sono per esempio quelli relativi all’altezza, ma non identificano perfettamente l’identità, perché tante persone possono avere altezza simile. Anche se rilevare un’altezza molto sotto la media, ad esempio 1,50 metri, ha un peso importante ai fini dell’identificazione. Sono i tratti individualizzanti a essere inequivocabili, poiché peculiari di una determinata persona”.
Quali potrebbero essere nel caso di Liliana Resinovich?
“Il ciuffo bianco, ma in generale si potrebbe trattare di un tatuaggio o di un altro segno di riconoscimento, o modelli relativi all’andatura, come una zoppia o una particolare movenza somatica”.
Infatti in un altro caso, quello di Pierina Paganelli, si sta valutando l’andatura di un uomo ripreso dalla videocamera di sorveglianza.
“Sostanzialmente l’analisi deve partire dai tratti individualizzanti per poi procedere all’analisi. Se questi tratti non vengono evinti dal materiale in possesso del tecnico, si passa ad altri elementi. Ma la qualità dell’immagine è determinante, poiché la scena è mediata dal dispositivo: non vediamo la realtà con i nostri occhi, ma attraverso esso. E il dispositivo potrebbe non riportare tutti i dati esistenti nella realtà e quindi rendere difficoltosa l’individuazione di una persona. Nel caso di Pierina, l’area in analisi è molto ridotta, anche se a condurla è il professor Battiato, una delle persone più preparate in questo campo, e sta tentando un miglioramento acquisendo i file originali. Nel caso Resinovich c’è una grande pervasività del mezzo informatico”.
Cosa significa?
“Questo caso ci dimostra come l’acquisizione secondo i diktat della digital forensics sia fondamentale. Con i vari filmati della videosorveglianza, allo stato attuale, non è possibile scientificamente sincronizzare le varie riprese, perché non conosciamo la modalità di acquisizione, i metadati del file originale. A quanto sappiamo, i file sono stati visionati fisicamente, quindi senza una procedura forense ed è stato redatto un verbale, così almeno risulta nel fascicolo. Nel verbale c'è scritto che ‘presumibilmente’ le telecamere di via Damiano Chiesa sono indietro di 5 minuti, la metodologia di acquisizione però non si conosce. Quindi non ci sono i mezzi per sincronizzare con certezza matematica l'orario della videosorveglianza di via Damiano Chiesa con quella invece di piazzale Gioberti, perché non conosciamo l'origine dei file. Se intanto è stato recuperato il file, vedremo il risultato delle analisi. Per ora il dato non ha contezza scientifica, e quindi non sappiamo neanche se quella persona sia la stessa”.
È possibile che nessuna delle tre persone inquadrate (in via San Cilino, in via Damiano Chiesa e in piazzale Gioberti) sia la stessa e soprattutto non sia Liliana Resinovich?
“Ci sono cinque coni di telecamere. Quattro di essi fanno riferimento a uno stesso impianto di videosorveglianza, poi ce n'è un'altra che fa parte di una telecamera montata su un autobus, quindi è una telecamera in movimento. L’identificazione forense per immagini segue regole ben precise e le immagini di via Damiano Chiesa e quelle relative ai secchioni per l’immondizia inquadrano il soggetto a una distanza molto importante. Peraltro via Chiesa ha una certa pendenza e l’obbiettivo ha una distorsione che molto spesso è presente negli obbiettivi di videosorveglianza: questi dettagli rendono più difficile l’identificazione”.
E poi?
“Ci sono anche più problemi con il soggetto di piazzale Gioberti: i pixel sono esigui per giungere a una conclusione scientificamente valida, inoltre non è chiara la direzione che il soggetto potrebbe aver preso, perché una volta che esce dal cono di visione, le direzioni possono essere almeno due. I dati che si evincono dall’analisi, presi singolarmente, sono dati neutri, poiché, se non supportati da altri dati criminalistici e quindi contestuali, non permettono l’identificazione del soggetto che cammina”.
In molte trasmissioni tv, diversi esperti si sono pronunciati sulle riprese. A “Chi l’ha visto?” un esperto di vfx ha anche proposto una corrispondenza tra la persona in via Damiano Chiesa e in via Gioberti. Ma soprattutto molti hanno parlato della possibile rifrazione della luce che potrebbe aver alterato la percezione sul colore degli abiti. Perché non è davvero così?
“Non è che non è così. Ecco perché è importante tracciare la fonte del file che si analizza. Quando acquisiamo un filmato da un impianto di videosorveglianza per renderlo leggibile da altri dispositivi, il formato che gli diamo comporta una compressione, ovvero una perdita di dati, una modifica di dati che potrebbero invece essere utili nell’analisi. Per questo è importante acquisire direttamente dal dispositivo di videosorveglianza e analizzarlo con dei software forensi, perché il dato può risultare impoverito anche riguardo ai colori”.
C’è infatti il problema del colore dei pantaloni: nella ripresa di via Damiano Chiesa sembrano grigio chiaro, ma Liliana Resinovich è stata ritrovata con un paio di pantaloni molto scuri, quasi neri.
“C’è una differenza di cromia nella ripresa tra le scarpe e i vestiti. È suggestivo e molto intuitivo quello che ha fatto l’esperto di vfx, ma c’è un problema: se sto facendo un’analisi, non posso alterare il dato, ho il dovere di mantenere integri i dati per tutta l’analisi”.
Nelle seconde indagini, i dati scientifici sembrano prevalere: Dna, videocamere, celle telefoniche, contenuto degli smartphone, insetti. Potranno aiutare a trovare una soluzione al caso?
“Avrebbe potuto. Perché un’acquisizione secondo le regole avrebbe dato più chance di risoluzione con l’acquisizione dei vari dispositivi, compresi quelli della videosorveglianza o quelli della GoPro del marito Sebastiano Visintin: la GoPro presenta infatti uno scarto temporale con i tracciamenti. Ma ci sono anche altri problemi: troppe anomalie sulla scena del crimine per dedurre con sicurezza un suicidio. Inoltre gli elementi appaiono più riconducibili alla necessità di avvolgere il corpo, come ad esempio il doppio sacchetto sulla testa, più che un’intenzionale alterazione dei luoghi, con lo scopo di inscenare un suicidio.
Tuttavia, tornando alla videosorveglianza, quando si è detto che la persona in piazzale Gioberti avrebbe preso la direzione del boschetto, non si tratta di un dato certo e dimostrato. È una possibilità, tra formulare un’ipotesi e verificarla c’è differenza”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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