Il vuoto a perdere dell'assassino

Qualcuno non ha bisogno del cattivo esempio. Dai futili motivi di Sangare ai non ricordo di Rezza

Il vuoto a perdere dell'assassino
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Raccontava qualche anno fa Paolo Nori, romanziere e traduttore dei maggiori fra i suoi colleghi russi dei tempi che furono, quanto gli disse la guida del Museo Dostoevskij di Pietroburgo. Cioè che le scale del palazzo dove abitava Raskol'nikov, l'assassino protagonista di Delitto e castigo, sono frequentate da studenti che si atteggiano a suoi fan, i quali lì vergano scritte del tipo «anch'io so di una vecchia dove bisogna passare» oppure «Raskol'nikov, ti diamo l'indirizzo di Galina Petrovna, la nostra insegnante di letteratura russa».

I cattivi esempi sono sempre quelli più seguiti, anche se per scherzo, come battuta, o per dare una momentanea strigliatina alla noia. Ma qualcuno non ha bisogno del cattivo esempio, fosse anche proveniente da un vecchio libro non letto, qualcuno non ha bisogno nemmeno di un impulso. Gli basta una fugace, impercettibile «premeditazione» condita da incrostati, soffocanti «futili motivi» (citiamo dal giudice per le indagini preliminari), come è avvenuto per Moussa Sangare, l'uccisore di Sharon Verzeni.

Qualcuno, addirittura, all'indomani del suo delitto non ricorda di averlo commesso. Lo ha detto ai magistrati Daniele Rezza, l'assassino di Manuel Mastrapasqua: «Al mattino ho aperto Tik Tok e ho visto la notizia di un ragazzo morto a Rozzano e ho pensato che ero stato io, perché la via era quella, il punto era quello».

Poi ha aggiunto: «Quando ho scoperto che il ragazzo era morto non è stato un granché, mi sentivo vuoto». Si sentiva vuoto. Se gli andrà bene, fra qualche anno scoprirà di essere sempre stato vuoto, e se gli andrà benissimo avrà tempo per mettere qualcosa in quel vuoto.

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