"Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro #ionondimentico", twitta il premier Matteo Renzi. Ed è un fiume in piena di messaggi quelli che oggi scorre sui social network.
Le 17.58 del 23 maggio 1992: è questo l'orario che segna lo spartiacque fra un prima e dopo della storia italiana recente. È esattamente quello infatti il momento in cui esplode il tritolo di Cosa Nostra a Capaci, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani. Sull'autostrada A29, quel 23 maggio 1992, nei pressi dello svincolo di Capaci, nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo, al passaggio del corteo delle Croma blindate del magistrato e della sua scorta, a distanza, con un telecomando, fu azionato l'esplosivo che era stato sistemato in un cunicolo di drenaggio sotto l'asfalto. E l'immagine di quell'autostrada sventrata non si può dimenticare.
"Per battere il cancro mafioso bisogna affermare la cultura della Costituzione, cioè del rispetto delle regole, sempre e dovunque, a partire dal nostro agire quotidiano". Così, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone di Palermo dove partecipa alla cerimonia Palermo chiama Italia. Riprendiamoci i nostri sognì in occasione del 23esimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Ed ha continuato: "A voi, ragazzi, voglio dire che le leggi sono importanti, che i passi avanti meritano di essere sottolineati, che l'azione di contrasto dello Stato, e la trasparenza dei suoi atti, sono condizioni irrinunciabili per vincere questa battaglia".
Poi la conclusione del capo dello Stato: "Cari ragazzi, oggi abbiamo parlato non di come rilanciare una città o una Regione, ma di come far germogliare una nuova primavera italiana. Serve un impegno corale. Vanno aperte le porte ai giovani. Nessuno deve averne paura. Giovanni Falcone ci ricorda che: 'Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uominì. Quelle idee, quelle speranze, ragazzi, hanno bisogno delle vostre gambe. Buon cammino a tutti noi!".
E ieri, per la prima volta da dopo l'attentato di Capaci, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani - ucciso dalla mafia mentre era di scorta a Giovanni Falcone e sua moglie- ha partecipato alla Festa della Polizia. Lo ha fatto ad Imperia (da tempo vive a Sanremo) e in questa occasione ha perdonato gli assassini di suo marito. Lo ha fatto leggendo una lettera indirizzata ai giovani. "Non ho spirito di vendetta nei confronti dei mafiosi: per il mio Vito allo Stato ho chiesto giustizia e a Dio li affido perdonandoli". Riferendosi all'attentato del 23 maggio 1992, Costa ha sottolineato nella lettera che "per quell'attentato e per altri non abbiamo avuto risposte esaurienti sui mandanti e sugli esecutori.
Solo mezze verità". La lettera si chiude con un invito ai giovani: "Cari giovani - scrive - dobbiamo essere inamovibili nella lotta alla corruzione e alla criminalità. Non dobbiamo perdere la speranza in un mondo migliore".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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