Napoli, la casbah nel centro della città

Nel quartiere Vasto, a Napoli, i residenti devono convivere con risse, prostituzione, spaccio di droga e continui schiamazzi

Stranieri che passano il tempo in piazza Principe Umberto
Stranieri che passano il tempo in piazza Principe Umberto

“Hanno aggredito due agenti della polizia municipale. Li hanno assaliti perché volevano togliere delle lenzuola che occupavano il marciapiede”, racconta una commerciante. Comincia anche così una giornata al Vasto, il quartiere di Napoli incastrato tra piazza Garibaldi, il Centro direzionale e la zona di Porta Capuana. Le sue strade prendono il nome delle città italiane, ma ad occuparle c’è il mondo intero. Via Firenze, via Milano, via Bologna, via Torino, via Palermo, via Venezia, piazza Principe Umberto sono invase da immigrati. Tra coloro che vengono dai Paesi esteri, ci sono persone tranquille e oneste, che lavorano e rispettano il posto in cui hanno deciso di stabilirsi. Poi c’è l’altra parte, quella dei migranti che bivaccano, persi in quei luoghi diventati punto di riferimento per tutti gli stranieri presenti in città e nella sua provincia. Rimasti senza nulla, hanno fatto della strada la loro casa o il posto in cui trascorrere la giornata al di fuori dei centri di accoglienza. Alcuni girano a vuoto, a far nulla. Altri passano il tempo ad ubriacarsi. Poi ci sono quelli che delinquono. “Qui loro sono diventati i padroni” sostiene qualche residente esausto. Fino a un paio di anni fa si conviveva pacificamente. Poi il degrado, la violenza, gli episodi delinquenziali sono aumentati vertiginosamente. “Fino al 300 % negli ultimi 10 mesi”, è la stima di Vincenzo, gestore di un bar. Nel quartiere ci tengono a precisare che “non sono razzisti”, il problema è che non si sentono più al sicuro. Oggi la situazione è sfuggita di mano. Anche le forze di polizia presenti sul territorio subiscono aggressioni, di cui talvolta si preferisce non parlare. “Ho il video, ma mi hanno chiesto di non divulgarlo, per tutelarli e non delegittimare la loro figura”, dice una esercente che pochi giorni fa ha assistito a una scena di violenza contro due uomini della polizia municipale. Ciononostante, i caschi bianchi sono presenti sul territorio. Ci sono, si vedono, sia a piedi che in macchina. E continuano a fare il proprio lavoro in un contesto molto difficile da gestire. Gli abitanti e i commercianti, in questa zona molto popolosa a un passo dalla stazione centrale, si sentono prigionieri a casa loro. E lo urlano da mesi. A giugno scorso è nato il Comitato Quartiere Vasto. Oggi conta circa 780 membri. Tra gli iscritti ci sono anche degli immigrati. Nelle settimane scorse il gruppo si è reso promotore di una petizione con cui sta chiedendo più controlli al sindaco Luigi De Magistris, al prefetto di Napoli Carmela Pagano e ai presidi delle forze di polizia presenti sul territorio. Purtroppo, però, ad oggi non è cambiato nulla.

I disagi

Per i residenti uscire di casa significa rischiare ogni giorno di trovarsi nel bel mezzo di una rissa, o davanti a un folle che brandisce un coltello. Non sono rari i casi in cui le bottiglie di alcolici vuote diventano armi: le spaccano e usano i cocci di vetro per colpire gli avversari nel corso di zuffe, talvolta col cervello annebbiato dall’alcol. Affacciarsi alla finestra spesso significa assistere a scene di sesso all’aperto. La prostituzione sulla via pubblica prende il via alle 23. “Quando la sera rientro con i miei bimbi provo imbarazzo, mi trovo davanti delle prostitute che provano in ogni modo ad attirare l’attenzione dei passanti. Per entrare nel palazzo dobbiamo farci spazio tra loro e i venditori abusivi di prodotti rubati o scovati nell’immondizia. Ai miei figli non permetto più di mettere la testa fuori al balcone, perché da sopra assistiamo spesso a scene di sesso tra le macchine”, racconta Ciro. La sera i marciapiedi, poi, si trasformano in un dormitorio: cartoni, lenzuola e materassi diventano letti di fortuna per chi non ha un alloggio. Lo spaccio di droga, invece, è un’attività che non ha orari, va avanti 24 ore su 24 sotto gli occhi di tutti: i negozianti, i residenti, sanno spiegare nei dettagli tutti gli stratagemmi che usano i pusher per cedere le dosi. Gli schiamazzi sono all’ordine del giorno. La gente del quartiere riferisce anche della presenza di luoghi di culto abusivi, moschee sorte all’interno dei palazzi: “La mattina spesso ci svegliamo con i cori delle loro preghiere”, raccontano. Siamo riusciti a raggiungere uno degli stabili dove si riunirebbero i musulmani per la preghiera. Siamo entrati. Superato l’atrio, c’è uno scantinato esternamente fatiscente. Una moschea si troverebbe lì. Ma era tutto chiuso.

La disperazione degli immigrati accampati al Vasto

Quando si varca il confine del quartiere l’impressione è che si entri in un ghetto multietnico isolato dal resto della città, pur trovandosene al centro, al suo ingresso. Scattare foto e registrare video con un cellulare è complicato. “Che fai? Cosa hai filmato?”, chiede vis-à-vis con tono minaccioso un ragazzone del Gambia alto due metri. Sosta con un gruppo di coetanei africani all’angolo tra via Firenze e via Milano, uno dei tanti che si notano lungo il tragitto. “Devi chiedere il permesso per fare i video”, pretende un amico. Ne nasce un colloquio, in cui si raccontano. Un paio di loro hanno gli occhi persi nel vuoto: la marijuana li rende poco lucidi, l’odore dell’erba ce l’hanno impregnato addosso. Quasi tutti sono gambiani e dicono di dormire per strada. “Io sono da due anni e mezzo in Italia e da quando sono arrivato qui, vivo per strada”, afferma Sanusi, che riferisce di avere 25 anni. Gli altri gli fanno eco. Mosè, di tre anni più grande, spiega che “di notte beve per riuscire a prendere sonno a terra”. Mentre parlano delle condizioni disumane in cui campano, di lato qualcuno dal mucchio cede una dose di sostanze stupefacenti. È uno scambio fulmineo, che avviene di passaggio lungo quel tratto di marciapiede. “Voi spacciate droga?”. A questa domanda non rispondono. Sostengono di non conoscerne il significato. Il più piccolo, 18 anni, l’italiano lo parla bene. Dopo due anni passati in un centro di accoglienza in provincia di Napoli, anche lui ora non ha più un tetto sotto cui ripararsi. “Siamo stanchi”, dice Sanusi con i suoi occhi carichi di rabbia. “Quando chiamo i miei familiari gli dico che sto bene e loro si sentono tranquilli, ma io non ho nemmeno un posto dove riposare, non so che fare. Riesco a mangiare grazie agli amici del posto che di sera mi invitano a prendere un boccone”, spiega in inglese, provando a usare quelle poche parole in italiano che finora ha imparato. Intanto Notorious già sfatto dall’erba, si arrotola un’altra cartina. Dice di avere 21 anni e, senza un’occupazione, afferma di potersi permettere un’abitazione in piazza Carmine, dal lato opposto di piazza Garibaldi.

La testimonianza di un conoscitore dello spaccio di droga al Vasto

Che quei ragazzi smercino sostanze stupefacenti, lo conferma anche un loro coetaneo napoletano che frequenta quel posto. Lui non li perde un attimo di vista. È un soggetto conosciuto nell’ambiente dello spaccio, reato per il quale rivela di aver passato qualche anno in carcere. “Ormai pure la camorra ci ha rinunciato a gestire gli immigrati. Loro non volevano piegarsi alle regole del sistema e un paio di anni fa gli spararono contro. Una raffica di colpi. Ma ciò non bastò ad intimorirli. Loro erano in trenta, dopo quell’agguato raddoppiarono”. Di quell’episodio ancora ci sono le tracce su una serranda abbassata. Secondo quanto svela: “La camorra si è scocciata di stargli dietro, ci ha rinunciato. Ha abbandonato il mercato della marijuana, di hashish, e eroina, che ormai controllano loro. Ora si concentra sulla cocaina e su affari più grossi”. Sostiene, poi, che “è un africano a rifornire di droga quegli immigrati che spacciano”.

Lo stato di anarchia e i problemi del commercio

Al Vasto vige l’anarchia. “Qui i documenti si comprano come se andassi dal tabaccaio”, svela un libico che trova riparo in una tenda messa su, da qualche parte, in piazza Garibaldi. Sul dove i documenti si possano reperire illegalmente, la sua bocca resta cucita. Lungo il tragitto, tra lo spaccio di droga, i mercatini di rifiuti, i venditori ambulanti autorizzati e non, e il continuo viavai dei passanti, delle donne africane vendono prodotti alimentari in carretti fermi al sole. Al Vasto si possono aprire negozi, trattorie senza alcun rispetto per le regole. Girando tra i vicoli ci si imbatte in un ristorante africano completamente abusivo. Le insegne dei negozi parlano ormai in arabo. Le condizioni igienico-sanitarie di alcuni locali commerciali sono evidentemente precarie. Ci sono internet point ovunque. Il commercio è prevalentemente in mano agli immigrati, soprattutto africani e cinesi. Sono pochi gli esercizi commerciali gestiti da italiani che ancora resistono, si tratta di quelli storici, per i quali gli affari sono notevolmente calati. Qualcuno ha annunciato la chiusura dopo decenni di attività. “A breve penso che chiuderemo, non ce la facciamo più”, ha dichiarato la titolare di un panificio in via Firenze. Presente dal 1949 al Vasto, Renato, invece, è un parrucchiere in pensione. Il figlio ha ereditato il suo salone, con ben 51 anni di storia alle spalle: “La gente che prima si spostava per arrivare da me, oggi, con tutto il rispetto che ha per Renato, non viene più, perché ha paura”. I direttori di ristoranti e alberghi il cui ingresso affaccia su piazza Garibaldi assistono continuamente a scippi e devono fronteggiare i reclami dei clienti per i numerosi disagi che ne derivano. “La sera – racconta il responsabile di una pizzeria - sono costretto ad accompagnare i clienti negli alberghi. Alle 23 chiudiamo perché non entra più nessuno. La gente ha paura di venire a mangiare qui”.

La voce degli immigrati perbene

Del degrado in cui versa la zona si lamentano gli stessi immigrati, quelli perbene, per i quali Napoli è diventata casa loro, e la rispettano. Paolo – il suo vero nome è Mamad – è un senegalese arrivato in città 26 anni fa. È il capo del mercatino multietnico di via Bologna. È un uomo stimato da tutti tra i palazzoni del Vasto. Dicono che faccia anche da paciere: interviene per sedare risse, riuscendo a riportare tutto alla calma. “Io non voglio vedere né persone soffrire, né persone che fanno cose brutte davanti ai cittadini italiani. Si ubriacano, sporcano, accoltellano qualcuno: questo non mi piace. Come rispetto il mio Paese, devo rispettare anche il paese italiano dove vivo”, afferma Paolo. Riconoscendo i problemi di cui soffre il Vasto in questo periodo, si schiera con il resto dei residenti: “Questo è il mio quartiere, io sono da 26 anni qua. Il giorno in cui loro usciranno per manifestare questi problemi io sarò davanti, perché io vivo qua, questa è la mia casa. Per me i cittadini hanno ragione: si sta esagerando”. Per le condizioni in cui è piombata quell’area, Mamad punta il dito contro i gambiani: “Sono nuovi arrivati e non hanno un presidente che gli spieghi come si devono comportare. Sono loro la causa di tutto il casino che c’è. Io ho vergogna quando vedo delle persone comportarsi così male. È tutta colpa del Governo, li lascia abbandonati in mezzo alla strada. Perché non viene a controllare i centri per gli immigrati che stanno qua? Alcuni abitanti attaccano il sindaco per questi problemi, ma lui ha fatto cose buone per Napoli. Per me devono andare dalla Prefettura”. La comunità senegalese risulta ben integrata a Napoli, dove è presente da circa 30 anni. A rappresentarla oggi c’è Omar Ndiaye El Hadej, mediatore culturale della onlus Less, per il quale “Il quartiere vive un disagio. Qua ci sono alberghi pieni di ragazzi abbandonati, parcheggiati. Sono persone che devono avere al minimo un’accoglienza, che non esiste”. Poi accusa: “Il problema non sono gli immigrati, non sono i cittadini, ma il Governo italiano, che non ha la capacità di gestire l’accoglienza. Butta denaro nelle mani di persone che non sono quelle che devono gestire il fenomeno degli immigrati, come i camorristi. Perché non si parla degli alberghi che prendono un sacco di soldi e non hanno nemmeno un mediatore culturale? ”. Si sofferma poi sullo spaccio di sostanze stupefacenti. Lui sostiene che dietro i pusher africani ci siano degli italiani. Mentre Omar parla, un bambino di etnia rom, alto poco più di un metro, prova ad aprire uno zaino, incurante della folla. Gira e rigira intorno a noi con la furbizia di un uomo di 30 anni e la semplicità di un piccolo della sua età. La sorellina, intanto, cerca le offerte tra le bancarelle del mercato di via Bologna.

L'abbandono delle istituzioni

Furti, scippi e rapine rappresentano un altro problema che colpisce la zona. Gli autori non hanno colori. Spesso sono tossicodipendenti. “Sono italiani, algerini, persone di ogni nazionalità, non è una questione di razza – dice Francesco, componente del direttivo del Comitato Quartiere Vasto – Però questo problema è aumentato con l’aumento di questi ragazzi immigrati. Noi siamo disposti ad ospitarli, ma non c’è controllo. Loro sono stati abbandonati dalle onlus. Sono stati abbandonati dal Prefetto, come lo siamo stati anche noi cittadini. Noi non ci dobbiamo occupare della sicurezza del nostro quartiere, e invece lo stiamo facendo. Persone anziane non escono più di casa. La domenica a messa non va più nessuno, il parroco a volte non apre nemmeno la chiesa in via Milano, e qualche volta è stato costretto a fermare la celebrazione della funzione religiosa per uscire a chiedere di fare silenzio agli extracomunitari che bevono fuori. È stato minacciato, lui ha paura. Non denuncia, perché qui c’è paura. Le istituzioni non ci aiutano». Al Vasto si sentono soli, tutti. I residenti, sia napoletani di nascita che di adozione, i commercianti, gli immigrati disperati che sono finiti a delinquere e che non riescono a trovare una via d’uscita al di fuori della strada. Sono tutti vittime di un sistema che non funziona.

Il ripristino della sicurezza e della legalità è quanto invocano per ricominciare a vivere serenamente il quartiere. Ma anche dare una possibilità a quei giovani arrivati da lontano, molti dei quali oggi per lo Stato sono solo dei fantasmi.

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