Per alcuni sono solo trofei Non si è genitori per dovere

Per alcuni sono solo trofei Non si è genitori per dovere

Serve un figlio per essere felici? Così ci chiede la ricerca pubblicata ieri da Eurispes. Domanda del cavolo, non ce ne voglia il signor Eurispes. La risposta dei giovani italiani è lapidaria: sette su dieci dicono di no.

Non è indispensabile avere un figlio per essere felici. E a noi sembra una risposta tutto sommato ragionevole allo sbilenco quesito. Non è necessario mettere sempre i millennials sotto il vetrino del microscopio per imputargli tutti i mali del mondo. La felicità è una ricetta complessa che non ha ancora trovato uno chef che sappia impiattarla con la bollinatura delle stelle Michelin. Ma la felicità è anche qualcosa di tremendamente personale ed egoistico. Fare un figlio è un percorso naturale che non ha la felicità come traguardo, ma che la include senza calcolarla col bilancino delle programmazioni sentimentali e i calcoli ragionieristici di chi sente che l'orologio biologico - o peggio ancora quello sociale - sta suonando. Un figlio non è una pastiglia di Prozac da autoprodurre per riempire vuoti che sembrano incolmabili. Non è un trofeo da mostrare nella carrozzina come se fosse una Bmw parcheggiata in garage. E quindi ben venga il fatto che non sia più percepito come un dovere morale, che sia una scelta e non un obbligo.

È un atto di coraggio, di follia e di incoscienza. Il computo dei sorrisi, il calcolo costi-benefici sul diagramma della propria felicità sono solo meschinità. Chissà che acquazzoni di lacrime, e poi che tsunami di soddisfazioni, ci sono dopodomani. Ma non c'è mica il meteorologo che te lo anticipa con certezza scientifica, non esiste una carta nautica che può prevedere gli scogli sommersi della propria esistenza. Figurarsi quella di un altro. Anche se è il proprio figlio.

Il figlio come diritto alla propria felicità è la negazione della genitorialità. Un atto di solitudine che apre la strada a quegli orribili mercati di pargoli, nei quali si affittano uteri come fossero monolocali e spermatozoi come se fossero fertilizzanti. Così i figli si riducono ad essere solo 23 coppie di cromosomi elaborati da un algoritmo a pagamento.

Il mondo è cambiato e la domanda sopraccitata è ottocentesca, quasi marxista: quando esistevano i proletari, chiamati così

perché possedevano i propri figli come unica ricchezza.

Come se fossero un asset aziendale. Un figlio è la frazione di secondo che esplode per una vita intera. Molto più del valore statistico di qualsiasi ricerca sociologica.

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