Allarmi e auspici di rivolta

A volte c'è da domandarsi se chi parla di rivolte sociali più che prevederle in realtà le evochi sperando di materializzare quella piazza che finora è la grande assente nella svolta radicale delle due opposizioni

Allarmi e auspici di rivolta
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A volte c'è da domandarsi se chi parla di rivolte sociali più che prevederle in realtà le evochi sperando di materializzare quella piazza che finora è la grande assente nella svolta radicale delle due opposizioni. I gridi di allarme della Schlein e di Conte uniti a quello del «numero uno» della Cgil Maurizio Landini, gran cerimoniere del matrimonio tra Pd e 5stelle, sulle conseguenze determinate dalla fine del reddito di cittadinanza più che una previsione, infatti, hanno il sapore dell'auspicio. Solo che come spesso avviene agli apprendisti stregoni (il passato insegna) si mettono in moto dei processi che poi nessuno controlla. Si parla di rivolte e poi ti ritrovi cinquanta scalmanati mascherati che attaccano il cantiere della Tav. Sarebbe il caso di misurare davvero le parole perché c'è chi sogna il movimentismo di una volta e corre il rischio di ritrovarsi davanti i fantasmi del passato. C'è chi adombra le violenze degli scontri sociali e vede materializzarsi gli incubi che abbiamo rimosso o dimenticato.

Ora che ci sia un legittimo spirito di revanche nei confronti di Giorgia Meloni e della sua maggioranza (chi esce sconfitto dalle elezioni non può essere certo contento) è naturale, ma sarebbe consigliabile una certa cautela nel maneggiare determinati argomenti. Uno se l'aspetterebbe sicuramente da un ex premier come Conte che dopo un soggiorno di due anni e mezzo nella stanza dei bottoni, avrebbe dovuto maturare un senso di responsabilità maggiore e non parlare di rivolte sociali mesi fa, quando ancora non era successo niente (a proposito degli auspici). E in fondo un atteggiamento più prudente dovrebbe avere anche la nuova segretaria del Pd, non fosse altro perché quando il reddito di cittadinanza uscì dal cilindro grillino molti nel suo partito, a cominciare dal segretario di allora Nicola Zingaretti, lo criticarono non poco. E certe posizioni non si esorcizzano limitandosi a dire «io non c'ero» come la Schlein fece, sempre in nome dell'alleanza con i grillini, per esprimere la sua posizione problematica sull'inceneritore di Roma, sogno del sindaco piddino, Gualtieri.

Anche perché, diciamoci la verità, il bilancio del reddito di cittadinanza non è certo entusiasmante: sono stati spesi 35 miliardi di euro di cui 12 miliardi sono andati a persone in grado di lavorare e almeno un miliardo è finito nel nulla, ovvero, in truffe.

Ci sarebbe quindi tanta materia di cui discutere. Ma in realtà salario minimo e reddito di cittadinanza sono questioni che nella mente di Conte e della Schlein hanno una funzione più politica che altro: servono a mettere in piedi la piattaforma della loro alleanza. Un'alleanza figlia di una svolta radicale della sinistra che nell'occasione ha riscoperto contro lo spirito del tempo, in cui non è protagonista, il tradizionale spirito massimalista. Solo che lo spirito massimalista, alieno ad ogni ipotesi di compromesso, si porta dietro sempre la politica della piazza e l'evocazione della rivolta. Lo hanno imparato a loro spese più di una volta i riformisti di ogni colore. Perché se ci sono due categorie che il massimalismo proprio non contempla sono il dubbio e il senso del limite.

Guardate Zaki, di cui tutti festeggiamo sinceramente il ritorno in Italia: esce dalle galere egiziane grazie all'opera del

governo di centrodestra e finisce per presenziare un incontro organizzato dal centro sociale Labas, lo stesso che nel giorno delle esequie di Berlusconi organizzò il «Funeral Party». Un problema di riconoscenza? No, di decoro.

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