Un anno e otto mesi: è questa la richiesta avanzata in aula dal procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo, nei confronti del sindaco di Torino Chiara Appendino, imputata nel processo per i tragici fatti del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo. Il sindaco del M5s, difesa dall'avvocato Luigi Chiappero, deve rispondere di omicidio, lesioni e disastro colposi, in occasione della proiezione in piazza della finale di Champions Juventus-Real Madrid: accuse pesantissime. Secondo l'inchiesta, la piazza torinese era diventata una trappola, quando una gang di giovani maghrebini spruzzò nell'aria lo spray al peperoncino per rapinare i tifosi di cellulari e collanine. Nel fuggi fuggi di 30mila tifosi, mille e 600 persone rimasero ferite e due donne persero la vita.
Così come le vittime non trovarono scampo nella bella piazza di Torino, anche le considerazioni dell'accusa, portata avanti dal pm Pacileo, non lasciano scampo al sindaco Appendino, inchiodandola alle sue responsabilità. Il pm, infatti, scrive che il primo cittadino avrebbe dovuto annullare la manifestazione perché non era possibile garantire la sicurezza e l'incolumità degli spettatori. In particolare non era stato «preventivamente acquisito il parere obbligatorio e vincolante della Commissione provinciale di vigilanza, come previsto dal Tulps, e necessario a verificare le condizioni di sicurezza per l'incolumità pubblica». Inoltre le viene contestato anche di non aver firmato un'ordinanza per bloccare la vendita di bottiglie di vetro, visto che i tifosi rimasero feriti anche per i cocci che lastricavano la piazza, diventata una pericolosa e scivolosa lastra di vetri rotti.
A fine udienza, il pm ha spiegato che «il grosso limite è stato quello di organizzare tutto in fretta, poi ognuno ha pensato di dovere fare solo un pezzetto di quella che invece era un'opera collettiva. La manifestazione così come è stata organizzata, in quella piazza chiusa, con il transennamento, con la previsione nota di un afflusso di decine di migliaia di persone è stata l'origine di quello che è successo dopo». E questo anche se poi, ha aggiunto il pm, «tutto è stato scatenato da un evento illecito di altre persone, il contesto era di per sé pericoloso».
Prossima udienza il 16 dicembre. Non si tratta della prima condanna per la pupilla piemontese di Grillo, condannata a sei mesi per il così detto «Caso Ream», perché considerata responsabile di falso ideologico in atto pubblico in riferimento al bilancio 2016. Una «svista» che fece quadrare i conti. Due procedimenti e due condanne in quattro anni è un traguardo non da poco, soprattutto per chi, come Chiara Appendino, rivolge lo sguardo verso una candidature romana, rifiutando la candidatura bis del 2021 nella sua città, forse per il timore - per non dire la certezza - di avere perso per strada voti e consensi, anche nella sua maggioranza.
Del resto a portarla in tribunale e a farle avere due condanne sono state proprio la mancanza dei requisiti più importanti per un sindaco: la capacità di gestire la città in maniera organizzata e sicura e non «truccare» i bilanci per fare tornare i conti.
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