Arriva lo studio sul mistero Bergamo: immunità e decessi colpa della genetica?

Il Mario Negri lancia il progetto "Origin": "Possibile una predisposizione al virus"

Arriva lo studio sul mistero Bergamo: immunità e decessi colpa della genetica?

Cos’è successo davvero a Bergamo con lo scoppio della pandemia da Coronavirus? Perché un’area con meno di mille morti al mese, a marzo ne ha avuti quasi seimila, diventando il luogo di gran lunga più colpito del mondo? Uno studio del Mario Negri a ottobre ha rivelato risultati choc: il 38,5% della popolazione qui ha sviluppato anticorpi al morbo. Una percentuale mostruosa se si pensa che a New York, dove il virus è ovunque, la percentuale di chi ha anticorpi è del 19,5% e che a Madrid, seconda città per letalità, è appena dell’11,5%. Abbiamo cercato di capirci qualcosa in più sentendo alcuni degli autori dello studio del prestigioso istituto: Ariela Benigni, Luca Perico, Susanna Tomasoni e Giuseppe Remuzzi, direttore del centro.

Lo studio suggerisce l’ipotesi che nella provincia di Bergamo il virus abbia toccato 420mila persone contro le quasi 16mila segnalate. Lo avete svolto su 423 volontari rientrati al lavoro dopo il 5 maggio. Sul sito del ministero della sanità appare invece uno studio di sieroprevalenza (elaborato da Croce Rossa e Istat) effettuato su 64660 volontari di tutta Italia che si sono sottoposti al test più o meno nello stesso periodo, ovvero dal 25 maggio al 15 luglio. Tuttavia i risultati appaiono estremamente diversi: si parla di 1 milione e 482 mila persone che avrebbero incontrato il virus. ​Come si spiega la concentrazione di così tante persone coinvolte nel contagio nella sola Bergamo e così poche in tutte le aree limitrofe, tanto che nel resto d’Italia ci sarebbero “solo” un milione di contagiati in più?

«I risultati dello studio ISTAT e dello studio Mario Negri sono numericamente diversi perchè lo studio ISTAT ha preso in esame tutto il territorio nazionale, mentre il nostro studio si è concentrato solo sulla provincia di Bergamo. Se però esaminiamo i dati ISTAT a livello regionale vediamo che la percentuale di positivi sale dal 2,5 % del territorio nazionale al 7,5% in Lombardia e addirittura al 24% in provincia di Bergamo. Ciò riflette il fatto che la diffusione del virus non è stata omogenea sul territorio nazionale e la maggior parte dei casi si è verificata nel Nord Italia. Nel territorio Lombardo il virus ha inoltre colpito in misura diversa le province e la nostra è stata certamente la più colpita. Il nostro dato (38,5% di positività) si colloca tra i dati ISTAT di Bergamo e altri studi di sieroprevalenza per esempio quello dell'ATS nei comuni della Bergamasca (56,9%). Bisogna anche considerare che la raccolta dei dati dei sieropositivi è diversa tra lo studio ISTAT (fine maggio-metà luglio, ovvero tra i 2 e i 4 mesi dal picco pandemico) e il nostro (inizio maggio, a 2 mesi dal picco pandemico). Queste differenze temporali, sebbene apparentemente non diverse, sono rilevanti. Infatti, uno studio in Inghilterra ha dimostrato che la risposta anticorpale è molto transiente e che il numero di positivi agli anticorpi diminuisce del 26% tra il primo e il terzo mese».

Perché proprio Bergamo?

«Le ragioni dell’enorme diffusione del virus sul territorio bergamasco non sono al momento chiare. Perchè proprio Bergamo? Forse per alcune peculiarità del territorio, quali l’alta concentrazione di industrie con relazioni internazionali e l'elevata mobilità degli operatori (facilitata anche dalla presenza sul territorio del terzo aeroporto per passeggeri in Italia). Stiamo cercando di capire in Istituto tramite il progetto Origin se, oltre a questi elementi strutturali della provincia, ci sia una predisposizione genetica nella popolazione bergamasca che possa essere responsabile della suscettibilità all'infezione. E' probabile che il lockdown imposto a marzo abbia impedito al virus un'espansione al di fuori della provincia di Bergamo, risparmiando le zone limitrofe».

Nel vostro studio emerge un altro dato choc. Ovvero che il “38,5% del campione è risultato positivo al test sierologico ed ha sviluppato gli anticorpi contro il SARS-CoV-2”. Di gran lunga superiore a qualsiasi area del mondo. Ovvero addirittura oltre il triplo di Madrid, seconda nel mondo per letalità a Bergamo e il doppio di New York, dove la pandemia è estremamente diffusa. Da scienziato, come si può spiegare questo fatto?

«Ormai risulta chiaro che il virus circolava diffusamente sul territorio prima di quel fatidico 21 febbraio in cui è stato registrato il primo caso di COVID-19 in italia. Il SARS-CoV-2 è un virus estremamente contagioso e il fatto di non essere stati in grado di accorgersi della sua presenza, ha permesso una diffusione massiccia ed incontrollata sul territorio. La mortalità osservata a Bergamo fa capire l'entità della diffusione del virus e la tragedia che si è consumata in questi territori. A tale proposito, un articolo del New York Times ha messo a confronto l'eccesso di mortalità del Coronavirus con altri disastri naturali dell'ultimo secolo. E a Bergamo si è registrata una mortalità 6,7 volte più alta rispetto al normale, non lontana dalla mortalità di 7,2 volte più alta registrata durante la pandemia di influenza Spagnola ad inizio 1900, che tutti ricordiamo come una delle più tragiche della storia. Sempre mediante il nostro progetto Origin sarà possibile capire se la popolazione bergamasca presenta particolari caratteristiche genetiche che possano portare a manifestazioni più severe di COVID-19 e quindi aumentata mortalità».

Il vostro studio cita una ricerca svolta sulla sieroprevalenza in Cina. Secondo tale ricerca, che abbiamo letto su Scopus e che è stata effettuata su campioni tra il 9 marzo 2020 al 10 aprile 2020, la sieroprevalenza a Wuhan, la “culla” del virus, variava tra il 3,2% e il 3,8% . Ovvero dieci volte in meno di Bergamo.

«In Cina sono molto più preparati a questo tipo di emergenze considerando che la maggior parte delle epidemie degli ultimi anni si sono generate proprio in quei territori. Probabilmente grazie alla loro preparazione e ai provvedimenti draconiani (lockdown repentino e massivo) sono riusciti a contenere meglio l'epidemia di quanto fatto in Europa e nel resto del mondo».

Lo studio riporta la diversa concentrazione di sieroprevalenza, documentando come a Nembro sia addirittura del 56,7%, mentre a Bergamo il 37,7%. Esistono spiegazioni scientifiche per queste differenze di sieroprevalenza tra Bergamo, e in particolare alcune aree di Bergamo, e il resto del mondo?

«Ad oggi non abbiamo dati che possano dare spiegazione di questo fenomeno. Quello che si può ipotizzare è che ci sia stato una commistione di fattori che hanno interagito portando a questo scenario. Come già accennato sopra, l'iniziale diffusione del virus "sotto traccia", in aggiunta a particolari contesti sociali e geografici, hanno consentito una rapida diffusione nella provincia.

D'altra parte la dimostrazione che le nostre considerazioni siano molto probabilmente esatte proviene dall'attuale andamento della situazione pandemica in Italia. Se l’elevata positività agli anticorpi possa giustificare questo rallentamento dell'ondata epidemica a Bergamo non è chiaro e stiamo cercando di capire il fenomeno».

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