La "bella vita" del profugo stupratore

Abiti eleganti, giacca e cravatta o papillon, il capobranco degli stupratori di Rimini Guerlin Butungu non se la passava certo male...

La "bella vita" del profugo stupratore

Un caso terribilmente attuale quello del gruppo di stupratori di Rimini e che non potrà non avere ripercussioni su molte scelte politiche future del paese.

Attuale perché ricollegabile sia al discorso “rifugiati” che a quello dello ius soli e dell’integrazione (mancata). Infatti, mentre il capo branco congolese di 20 anni, Guerlin Butungu, era un richiedente asilo ospite presso un centro di accoglienza del pesarese, gli altri tre soggetti coinvolti (un nigeriano di 17 anni e due marocchini di 15 e 16) sono nati e cresciuti in Italia, la cosiddetta “seconda generazione”.

Dei tre minori poco nulla può essere divulgato in quanto protetti dalla legislazione sui minorenni, ma il profilo Facebook del capobranco rivela alcune informazioni di estremo interesse.

Abiti eleganti, giacca e cravatta o papillon, cappellini, scarpe e giubbotti all’ultima moda; le immancabili cuffiette d’ordinanza per ascoltare la musica, oramai un classico tra i “profughi in cerca di una vita migliore”, del resto dovranno pur passare la giornata in qualche modo (guarda le foto).

In una foto dello scorso 4 aprile lo stupratore si faceva immortalare in completo grigio mentre ringraziava Geova e in un’altra del 2016 pubblicava un’immagine contro il razzismo che ritraeva alcune frasi di Mario Balotelli su “naturalizzazione e sul fatto che “le diverse esperienze della vita lo fanno reagire in modo diverso dagli altri”.

Insomma, da quel che emerge dal materiale pubblicato da Guerlin, non se la passava poi così male, indubbiamente molto meglio di tanti italiani rimasti senza lavoro, senza casa, molto meglio di tanti nostri giovani costretti a fare affidamento sui genitori, ingiustamente diventati veri e propri ammortizzatori sociali mentre lo Stato era impegnato a raccogliere clandestini provenienti dal canale di Sicilia per trasferirli poi alle cooperative e alle organizzazioni ecclesiastiche che si occupano di “migranti”.

Del resto ci sono altri filmati pubblicati da un suo amico ivoriano (estraneo ai fatti), sulla propria pagina Facebook, girato all’interno di un’ampia sala da pranzo nel pesarese, forse in un centro di accoglienza. Stanza munita di tv a schermo piatto dove i “rifugiati” banchettano allegramente. Musica “a palla”, piatti stracolmi, bibite, telefonini con tanto di collegamento bluetooth all’orecchio.

Tornando al discorso iniziale, questa volta non si tratta di irregolari, di delinquenti di strada che vivono ai margini della società nascondendosi in non-luoghi di qualche metropoli, i due minori marocchini sono infatti figli di immigrati regolari, le cosiddette “seconde generazioni”. Ok, un paio di loro hanno precedenti per furto e spaccio, ma nulla di più. Soggetti residenti in piccoli paesi del pesarese, facilmente riconoscibili una volta diffuse le immagini delle telecamere dove venivano immortalati dopo la duplice aggressione. Non potevano far altro che consegnarsi, perché ormai era questione di ore.

Anche il capobranco aveva capito che la faccenda si stava mettendo male, del resto anch’egli era esterno al girone degli irregolari, ospitato in un centro di accoglienza e con le impronte presenti nel “cervellone” delle Forze dell’Ordine. A quel punto ha pensato di “tagliare la corda” verso la Francia, ma non ha fatto in tempo. Era rimasto solo lui, anche il nigeriano era già caduto nella rete.

Contesti di vita differenti ma collegati tra loro: un capobranco congolese richiedente asilo, ospitato in un centro di accoglienza e libero di scorazzare e delinquere nella zona assieme a soggetti appartenenti alle cosiddette “seconde

generazioni”, soggetti che non si sono mai integrati, trovando invece maggior affinità con il congolese e il nigeriano. Vale la pena riflettere bene su questo caso, in particolare quando si parla di ius soli e di accoglienza.

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