Biden e Putin, insulti da bulli Il mondo trema

L'americano che dà del killer al russo e il russo che gli fa il verso ("chi lo dice sa di esserlo") non paiono modelli di leadership da studiare nei corsi di geopolitica.

Biden e Putin, insulti da bulli Il mondo trema

Verrebbe quasi voglia di mettersi a rimpiangere il Congresso di Vienna e i due venerabili parrucconi che, nell'occasione, guidarono le danze: i principi Klemens von Metternich e Charles-Maurice de Talleyrand, noti entrambi per l'intelletto tagliente e le raffinate, e soprattutto misurate, facezie. Verrebbe voglia, anche se è davvero troppo. La diplomazia delle corti e degli accordi segreti è cosa di altre epoche, meno illuminate e trasparenti dell'attuale. E però anche la diplomazia ridotta a rissa tra bulli di paese, che gridano per farsi belli di fronte agli spettatori, non trasmette una sensazione di particolare tranquillità sul futuro del pianeta. L'americano che dà del killer al russo e il russo che gli fa il verso («chi lo dice sa di esserlo») non paiono modelli di leadership da studiare nei corsi di geopolitica. Il primo, Joe Biden, si inserisce in una consolidata tradizione di politici cowboy. Merita un posto sul podio, anche se la vetta resta occupata da Ted Cruz, già candidato alle presidenziali (forse anche alle prossime), che nei suoi spot prendeva un paio di belle fette di pancetta, le avvolgeva intorno alla canna del fucile mitragliatore e poi, dopo un po' di spasso al poligono, quando il ferro era ormai arroventato per le raffiche, le addentava come gustoso bacon. Ancora più interessante il caso del secondo, Vladimir Putin, che ha fatto di un controllato bullismo il suo marchio di fabbrica. Sul ragazzo nato e cresciuto in vicolo Baskov, oggi zona elegante di San Pietroburgo, allora quartiere proletario di Leningrado, è nata una letteratura. I giochi in cortile e le risse tra bande di teppistelli sono diventate altrettante tappe di un percorso di formazione. A insegnarmi la vita, ha detto l'interessato, sono state «mia madre, la scuola e la strada».

La lezione viene messa in pratica una volta al potere. Nel 1999, ancora da premier, la sua prima hit è lo slogan scandito in una conferenza stampa. «È inutile che i terroristi si nascondano. Li inseguiremo ovunque, anche nel cesso. E li ammazzeremo pure lì». Più personale, ma da vero bullo, un altro episodio. È il 2007, in calendario uno dei primi incontri con Angela Merkel e i rapporti tra i due già non sono idilliaci.

Lei, dopo essere stata morsicata da un randagio, ha il terrore dei cani. Inizia il colloquio e lui fa entrare nella stanza il suo enorme Labrador nero. Nelle foto lo sguardo di Angela è di puro terrore. Forse killer no, ma dispettoso di sicuro.

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