Inattesa, è scoppiata ieri la bomba in Confindustria. Il suo presidente, Carlo Bonomi, sarebbe stato indicato da più parti come il candidato ideale alla guida della Lega Serie A, l'associazione delle 20 società iscritte al massimo campionato di calcio. Lo vorrebbero tutti i big, da Andrea Agnelli a Paolo Scaroni a Urbano Cairo; meno convinti i piccoli (per essere eletti servono almeno 14 voti). E oggi è prevista la seconda assemblea di Lega chiamata a votare per il presidente dopo le dimissioni di Paolo Dal Pino. Come andrà a finire non è al momento chiaro. Fonti vicine a Bonomi non avevano ieri commenti da fare. E il presidente (tifoso interista) era irraggiungibile, in vacanza alle Maldive. L'indiscrezione, però, non è stata smentita. E all'interno del sistema confindustriale è scoppiato il putiferio. Fino al punto che, secondo diversi esponenti dell'associazione degli industriali italiani, l'eventuale accettazione della presidenza della Lega calcio implicherebbe le successive dimissioni da quella di Confindustria.
La questione è clamorosa e vede intrecciarsi interpretazioni giuridiche e ragioni di opportunità. Sul primo punto il codice etico di Confindustria stabilisce che gli imprenditori con ruoli associativi «evitano di assumere incarichi di natura politica o in associazioni esterne, che possono generare conflitti di interesse». E la Lega potrebbe essere incompatibile: non è un caso che venga indicata come la «Confindustria del calcio», avendo tra i suoi associati gruppi che fanno riferimento anche ad altre importanti attività industriali.
Poi ci sono le ragioni di opportunità: come si può pensare di dedicarsi al calcio nel pieno di questa crisi energetica, che per le imprese si presenta non meno grave della pandemia. Tanto più che è stata proprio Confindustria a sollevare la questione della bolletta di luce e gas per le imprese, passata da 8 a 37 miliardi in due anni. E lo stesso Bonomi, in un'intervista al Corriere di sabato, ha chiesto nuovi incentivi per il lavoro. In questo quadro serve un presidente forte e legittimato a rappresentare l'economia ai tavoli della politica. Per questo ieri si segnalavano linee telefoniche roventi all'interno del sistema Confindustria dove, prima di tutto, nessuno ne sapeva nulla; ma l'idea di avere un presidente che nei giorni dispari si occupa di ottenere i ristori per pagare gli stipendi milionari dei calciatori, invece che trovarli per le imprese, non andava giù a molti tra i big dell'associazione. Mentre in tanti aggiungevano altri carichi. Come quello di chi ricordava che anche Maurizio Beretta è stato presidente di Lega, ma aveva già lasciato Confindustria dove però è stato direttore generale, cioè un «dipendente», non il presidente. E chi sconsigliava a Bonomi di andare «a prendere ordini» dai padroni della Serie A: «Appena riesce, dalle Maldive, gli consiglio di smentire».
La questione non è però di quelle semplici. Gli equilibri di Confindustria sono fragili e da ieri prende quota l'ipotesi che Bonomi stia guardando al futuro: la Serie A rappresenterebbe un approdo sicuro, anche economico. In Confindustria il presidente non ha uno stipendio, mentre in Lega c'è un compenso fino a 300mila euro che sostituirebbe quello di presidente della Fiera di Milano, in scadenza tra un anno. Ragionamenti che, se reali, svelerebbero una stanchezza di fondo di Bonomi, arrivato al vertice degli industriali due anni fa, in piena pandemia, e costretto a giocare sempre in emergenza l'intera prima metà del suo mandato quadriennale. Dice un saggio esperto di riti confindustriali che «ogni presidente sa che verrà ricordato non per quello che ha fatto, ma per quello che lascia». E tutti sanno che è il primo biennio quello in cui si può costruire.
Nel secondo, che per Bonomi inizia ora, si diventa presto anatra zoppa.Per tutti questi motivi, comunque vada, il caso Lega calcio rischia di dare un via anticipato alla corsa - molto affollata - per la successione alla guida di Confindustria.
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