Il cardinale Peter Turkson non sarà più il prefetto del Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale. Una istituzione che è stata centrale per la pastorale di papa Francesco durante tutti gli anni del pontificato, in specie per l'immigrazione ed i messaggi da divulgare al mondo in materia di gestione dei fenomeni migratori. Il mandato del porporato non sarà rinnovato e scadrà alla fine di questa annualità.
Turkson, a differenza di come certe cronache riportano, non è un cardinale conservatore, anzi. Si tratta dell'uomo simbolo dell'Ecclesia africana al pari di un altro cardinale africano, ossia Robert Sarah, che invece conservatore lo è eccome. Turkson è un progressista, così come dimostrato in molte circostanze, durante il suo mandato di prefetto. E il fatto che sia destinato a non ricoprire più quell'incarico - qualcosa di centrale per le logiche curiali - ha scatenato una piccola bufera mediatica, proprio per via della sua prossimità dottrinale ed ideale con il regnante papa Francesco.
Quando, soprattutto dopo la rinuncia di Benedetto XVI, si è ipotizzato che un porporato africano potesse divenire pontefice, ci si è riferiti a Turkson. Per sgomberare il campo da ogni dubbio e per chiarire quale sia la visione del mondo portata in dote dalla porpora dimissionaria, basterebbe citare un pezzo del discorso che Turkson ha tenuto durante "Xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto della migrazione globale", una conferenza che si è tenuta a Roma circa tre anni fa: "Ci duole constatare – ha detto in quella circostanza il cardinale, come riportato da Vatican News - che, nel contesto delle migrazioni internazionali, troppo spesso la diffidenza e la paura prevalgono sulla fiducia e l’apertura all’altro. Allo stesso tempo, confidiamo nelle tante dimostrazioni di solidarietà e di compassione che pure caratterizzano i nostri tempi".
Insomma, Turkson non è soltanto un aperturista sui fenomeni migratori ma anche un critico delle evoluzioni nazionaliste, proprio come Jorge Mario Bergoglio. E la sincronia tra i due interroga oggi gli osservatori: quelli che si domandano come mai il porporato ghanese abbia preferito fare un passo indietro. O, al contrario, come e perché Francesco abbia deciso che Turkson non debba più occuparsi di quel dicastero. La seconda ipotesi è quella che circola con maggiore insistenza.
Se le dietrologie sui motivi lasciano il tempo che trovano, lo stesso non si può dire per l'immagine complessiva della compattezza dei vertici del Vaticano: è infatti noto che Turkson rappresentasse una "punta", per così dire, della formazione di Francesco. Ma Bergoglio è un vescovo di Roma che non bada troppo alle forme quando si tratta di scelte radicali, e dunque di nomine e passaggi di consegne. Il Papa potrebbe, molto banalmente, aver preferito un segno di discontinuità. Altre voci ancora sussurrano di come Francesco, dopo anni di "accuse" per un'impostazione eccessivamente votata al progressismo, abbia ormai scelto la moderazione e il "centrismo" quali chiavi d'azione. Dunque il successore di Pietro potrebbe aver messo in moto un meccanismo per riequilibrare alcuni schemi che rischiavano di polarizzazione non solo la Chiesa, ma anche la percezione che si aveva delle decisioni e delle parole di Sua Santità.
Turkson non è il primo prefetto di peso che salta: la stessa sorte è toccata al cardinale Gherard Ludwig Mueller, a cui non è stato rinnovato l'incarico dopo un solo
mandato al vertice della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma Mueller era, ed anzi è, un conservatore, e per questo la cosa fece uno scalpore differente, soprattutto perché una figura legata al precedente pontificato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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