L'ultimo concistoro ha impresso una direzione precisa: il sacro collegio ora è composto, per lo più, da membri del "partito di Francesco". Lo stesso che dovrebbe poter eleggere il prossimo successore di Pietro senza molte difficoltà. Per quanto si dica che anche Joseph Ratzinger avesse preparato il terreno per la successione in favore del cardinale Angelo Scola. Poi è andata in maniera diversa. Nulla può essere dato per scontato nella storia ecclesiastica. Ma certo un insieme di cardinali che guarda con favore all'impronta data dall'ex arcivescovo di Buenos Aires esiste eccome. E non potrebbe essere altrimenti.
Gli iscritti a questa immaginaria formazione saranno maggioranza assoluta nel prossimo Conclave. Dal cardinale Luis Antonio Tagle, dato già per papabile da alcuni vaticanisti come Sandro Magister, al neo porporato Matteo Maria Zuppi, dal cardinale Konrad Krajewsky, quello del contatore, al cardinal Jean Claude Hollerich, il gesuita che si oppone all'ascesa del populismo in Europa, passando per la neo porpora Michael Czerny, ossia colui che ha scelto legno derivante da una barca di migranti destinata a Lampedusa per la sua croce, e per l'italiano pro immigrazione Francesco Montenegro. E ancora il cardinale brasiliano Claudio Hummes, l'altro sudamericano Oscar Maradiaga, che è il coordinatore del C9, l'africano Peter Turkson, i tedeschi Reinhard Marx e Walter Kasper, gli americani Tobin, Cupich, O'Malley e Farrell e così via. Per un'elencazione esasustiva, bisognerebbe procedere con una lista davvero dettagliata. Basti sapere che alcuni tradizionalisti usano definire "guardiani della rivoluzione" tutti coloro che assecondano la linea riformista del Papa. Pure quelli che cardinali non sono.
C'è infatti anche chi opera al di fuori del sacro collegio, ma viene comunque tenuto in considerazione per indicare la rotta: James Martin, consultore della Segreteria per la Comunicazione; Padre Antonio Spadaro, gesuita e direttore de La Civiltà Cattolica; il Generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal. Sessantasette cardinali più un gran numero di ecclesiastici uniti dalla condivisione del trittico bergogliano "terra, casa, lavoro". Questa, in chiave politologica, può essere definita la maggioranza odierna. Una maggioranza marcatamente progressista, che non ha affatto timore di mettere in discussione l'esistente. Sono i meno "rigidi", volendo usare una terminologia propria pure del Santo Padre.
Esiste poi la frangia dei cosiddetti "cardinali conservatori", con qualche distinguo di rilievo: c'è chi si oppone all'andazzo con più decisione e chi, come il cardinal Robert Sarah, rimane conservatore ma osserva che chi contesta il Papa si autoesclude dalla Chiesa cattolica. Conosciamo le posizioni dei cardinali Raymond Leo Burke, Walter Brandmueller, Gherard Ludwig Mueller. Sono i più critici. Vale la pena tenere presente anche quelli che in questi sei anni e mezzo si sono espressi meno o non hanno affatto contrastato la linea papale, ma possono comunque essere inseriti nel gruppo dei conservatori: i cardinali dell'Est Europa Peter Erdo e Dominik Duka, William Eijk, la porpora olandese, l'americano Di Nardo, il tedesco Woelki e lo stesso Scola. Sarà solo il tempo a sancire l'esistenza di un eventuale "partito Ratzinger", nel senso di moto anti-progressista interno al collegio.
Certo, trattasi comunque di minoranza. Almeno rispetto alle posizioni di partenza, che sono cristallizzate dai numeri: 67 creati da Francesco su 128 totali.
Il numero dovrebbe calare nel corso di questi anni per via del raggiungimento del limite di età da parte di alcuni. E a doversi fare da parte saranno soprattutto alti ecclesiastici nominati ai tempi da San Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.
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