Scene di un mondiale che sarebbe stato meglio non giocare, perché gli emiri si comprano pezzi di mondo, ma rispediscono al mittente quella scocciatura dei diritti umani. È la legge non scritta dei petrodollari. Il pallone però scivola e lascia tracce, perché il calcio non è mai stato solo un passatempo di massa. È specchio involontario e così le cose accadono. Sono le due del pomeriggio, ora italiana, e al Khalifa International Stadium di Doha undici iraniani vestiti di rosso si preparano a sfidare chi il football lo ha inventato, anche se non sempre capito. È il momento degli inni, sacra formalità. Gli inglesi in bianco si portano la mano al cuore e mezzo stadio canta God Save the King. Si è già capito invece da che parte stanno i ragazzi iraniani. Lo ha detto il giorno prima Ehsan Hajsafi, il loro capitano. Stanno con le donne che si tolgono il velo, contro il tempo immobile degli Ayatollah e piangono per tutti quelli che il regime teocratico di Teheran sta cercando di piegare, con una mattanza che non risparmia neppure i bambini. «Siamo con voi». Ci sono gesti che non sembrano rivoluzionari, come quello di chiudersi a cerchio e stringersi le mani. Neppure il silenzio lo sarebbe. Questa volta lo è. Non cantano, perché non c'è nulla di cui essere orgogliosi. L'orgoglio adesso è altrove. È nelle piazze che dicono basta. È baciarsi appoggiati a una macchina con i capelli nudi e sciolti. È di chi canta in persiano Zan, Zendegi, Azadi. Donne, vita e libertà. Sugli spalti c'è chi fischia, indignato, e ci sono ragazze che piangono, per dire grazie.
Sul braccio di Harry Kane, capitano dell'Inghilterra, non c'è la fascia con il cuore arcobaleno. Avrebbe dovuto esserci. Era la promessa di sette nazionali. Le altre sei sono Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svizzera. Un simbolo per dire che nessun amore può essere discriminato, che due donne o due uomini o qualsiasi combinazione possibile di individui possono baciarsi senza vergogna, e soprattutto senza subire punizioni, in ogni angolo del Qatar. La fascia arcobaleno invece non è mai scesa in campo. La Fifa non vuole. Quella scritta «One Love» non è opportuna. È contro le regole asettiche del calcio globale, dove i soldi non hanno odore, come se questo spettacolo di varia umanità non fosse anche l'incarnazione popolare, certo ludica, ma non solo, di una civiltà. La Fifa ha quindi fatto sapere che se un capitano mostra la fascia fuori ordinanza si becca al minuto zero un cartellino giallo. Ottusi padroni del football, ma deludente la reazione di chi era pronto a sfidare la morale del Qatar. Tutti, alla fine, hanno rinunciato alla fascia. È bastato un cartellino a spegnere la protesta. Un cartellino giallo ha spento la rivendicazione universale dei diritti umani. Come se ci fosse davvero da aver paura di un'ammonizione.
Sarebbe stato bello vedere i capitani, tutti i capitani, prendersi in faccia un giallo, perfino un rosso, senza abbassare lo sguardo, un prezzo quasi inesistente per una rivoluzione. In Iran la sfida contro gli Ayatollah la stanno pagando con carne e sangue. Il cartellino giallo per loro è la morte.
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