È cambiata l'aria e Giuseppi ha paura

Dalla strategia anti Lombardia agli Stati generali, le passerelle di Giuseppi sono solo un'arma di distrazione di massa

È cambiata l'aria e Giuseppi ha paura

Nel corridoio dei passi perduti di Montecitorio, alle spalle del Transatlantico che le misure anti-Covid 19 hanno trasformato in aula, va in scena lo sconcerto del Pd. Luciano Pizzetti, deputato piddino, sottosegretario nei governi Renzi e Gentiloni, scuote la testa e si lascia andare ad una confidenza: «Gli Stati Generali dell'Economia di Conte? Un'arma di distrazione di massa per distogliere l'attenzione dalla convocazione del Pm per le colpe sull'epidemia. Ora c'è da vedere se gli arriverà un avviso di garanzia». Poi Pizzetti si lancia in un excursus sul dramma del virus nelle zone della Bassa Lombardia. «Io spiega sono di quelle parti. In tre potevano decidere il lockdown nel Bergamasco: il sindaco, la Regione e il governo. Al povero sindaco non puoi affibbiargli questa croce. C'è poi la Regione, ma io dico, anche in dissenso con il mio partito, che ciò che stanno facendo ad Attilio Fontana è puro sciacallaggio. E l'unica colpa dell'assessore Gallera semmai è quella di essere un cretino e non un criminale. Resta il governo e qui mi fermo...». Così, improvvisamente, ti accorgi che in quel corridoio istituzionale il premier è popolare più o meno quanto lo era tra la folla di piazza Colonna che, il giorno prima, gli ha impedito la solita passerella per il caffè al grido di «buffone, buffone». Con una tale veemenza che Giuseppi è rientrato a Palazzo Chigi sussurrando davanti alle telecamere (scena ovviamente oscurata dai Tg): «È impossibile, impossibile!». Un «impossibile» dal tono aristocratico che ricorda tanto i rien, cioè i «niente», con cui Luigi XVI commentava nei suoi diari ciò che succedeva nei lavori degli Stati Generali del 1789. «Quelli - è il commento sarcastico del già candidato alla segreteria del pd, Gianni Cuperlo non portarono bene a Luigi XVI, che finì sulla ghigliottina. Spero, comunque, che nei suoi innumerevoli stand up televisivi, il premier non rovini il prato verde di Villa Pamphili: sarebbe un peccato. È una politica che deprime».

In questo Paese nulla è impossibile. Puoi avere un indice di popolarità alle stelle e dieci giorni dopo cadere nella polvere «precipitevolissimevolmente». O, ancora, puoi proporti come «modello» per come hai affrontato l'epidemia e, in appena due mesi, ritrovarti davanti ad un Pm per chiarire possibili colpe. Conte nelle ultime 48 ore lo sta provando sulla sua pelle e oggi sarà davanti ad un Pm. Appunto, nulla è impossibile, ma tutto è prevedibile. Il sottoscritto su questo giornale, il 28 marzo scorso, in piena pandemia, scrisse del rischio di un nuovo processo di Norimberga per chi non decretò il lockdown tempestivamente per bloccare l'avanzare del contagio: scelta che avrebbe contenuto il numero delle vittime e la durata della chiusura. Per immaginare un simile epilogo non bisognava per forza avere libero accesso alle carte dei Pm come Marco Travaglio, ma sarebbe bastato appellarsi al buonsenso. E un governo che il 20 gennaio riceve diverse simulazioni sui possibili sviluppi dell'epidemia, la più catastrofica delle quali paventa addirittura il rischio di 600-800mila morti; che il 31 gennaio decreta lo stato di emergenza nazionale; che il 15 febbraio spedisce due tonnellate di materiale sanitario (comprese le mascherine) in Cina; che il 25 febbraio decide di impugnare davanti alla Consulta la scelta del governatore del Pd delle Marche di chiudere le scuole, mentre per scaricarsi di ogni responsabilità rinvia all'autonomia delle Regioni le decisioni sui lockdown; che alla fine si arrende solo l'8 marzo, cioè 40 giorni dopo l'annuncio dello stato d'emergenza, nell'impossibilità di fronteggiare il contagio, all'idea del lockdown nazionale; beh, dopo tutto questo, a prima vista, un premier qualche responsabilità potrebbe averla.

Solo che, invece di guardare in faccia la realtà, nell'ultimo mese a Palazzo Chigi hanno pianificato l'utilizzo di una serie di strumenti di «distrazione». Hanno cominciato i network fiancheggiatori del «contismo militante», in primis Il Fatto, ad individuare nella coppia Fontana-Gallera i capri espiatori su cui scaricare tutte le colpe: per essere chiari, a Palazzo Lombardia non tutto ha funzionato, anzi, ma non avevano a disposizione per decidere né le simulazioni catastrofiche degli esperti, né i report riservati dalla Cina.

Né tantomeno avevano un ministro della Sanità, Speranza, che al corrente di tutti questi dati, per venti giorni ha predicato come un invasato, invano, il lockdown. Sullo scalone che lo porta all'uscita di piazza del Parlamento due deputati azzurri, Andrea Mandelli e Alessandro Colucci, gliene danno atto. Lui si sfoga: «La cosa che più mi fa male è essere chiamato davanti ad un Pm dopo tre mesi vissuti così. Per settimane ho predicato da solo la chiusura. Poi il 21 febbraio il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, mi chiese di ascoltare un primario dell'ospedale di Lodi che voleva assolutamente parlarmi. Lo abbiamo incontrato insieme. Ho trenta persone al giorno che arrivano al pronto soccorso ci ha raccontato allarmato - perché non riescono a respirare!. Io ho detto dobbiamo chiudere. Lorenzo mi chiedeva di pensarci su... le imprese... i sindaci della zona. Ma sono stato irremovibile sul Lodigiano... Passa qualche giorno e Salvini chiede di riaprire, Fontana è incerto, Sala comincia a fare la campagna su riprendiamoci Milano, Zingaretti mi invita all'aperitivo sui Navigli, proprio il posto dove è stato contagiato. La Quartapelle mi scrive: Sarebbe bello averti lì. Ma io col cavolo che ci sono andato. Anzi, ho cominciato a fare un'opera di convincimento quotidiana su Conte predicando la chiusura... giorno dopo giorno».

Solo che dì dopo dì, passano 17 giorni prima che il premier decida di metterla in pratica. E intanto per il Bergamasco nessuno decide niente. L'ipotetica colpa è tutta qui. E, visto che in Italia nulla è impossibile, ma tutto è prevedibile, il premier ha cominciato a temere la coda giudiziaria. Ora, in un Paese civile, gli errori politici non dovrebbero trasformarsi in responsabilità penali: Donald Trump rischierebbe la pena di morte. Ma se Salvini per avere tenuto per 40 giorni su una nave degli immigrati irregolari rischia un processo, tanto più non c'è da meravigliarsi che un premier che impiega 40 giorni a decidere un lockdown di fronte ad un'epidemia che provoca, dati di oggi, 35mila morti, possa finire in tribunale. Motivo per cui anche l'ipotesi degli Stati Generali partorita dalla mente perversa di Casalino, all'improvviso, dieci giorni fa, proprio mentre veniva recapitata a Palazzo Chigi la convocazione dei Pm, ha tutta l'aria di essere un'arma di «distrazione di massa». «Serve a distogliere l'attenzione» dice sicuro Colucci. «Punta a questo, ma non solo», rimarca il leghista Garavaglia. «È una buona lettura di una cosa che altrimenti non ha senso», sottolinea il capogruppo del Carroccio, Riccardo Molinari.

Solo che, con l'opposizione che li ha disertati e altre assenze che si annunciano, gli Stati Generali, come altre idee geniali di Casalino, rischiano di trasformarsi in un boomerang. «Siamo su un piano inclinato confida il piddino Luca Lotti , bisognerebbe aprire un'altra fase, subito. Sono d'accordo. Ma l'opposizione ci sta? È una cosa che Mattarella dovrebbe fare in tre giorni.

Con un accordo serio, visto che nel marzo del 2021 fino al semestre bianco si apre un'altra finestra elettorale e io alle urne non voglio andare. Conte? Se ti chiamano come persona informata sui fatti è difficile che ti trasformino in indagato».

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