La poco santa inquisizione si può sfidare. Non è che adesso sono diventati tutti garantisti. Non è neppure scomparso quel livore viscerale che porta le moltitudini a desiderare peste e morte del proprio nemico politico. Per nulla. È che si è aperto uno spiraglio per salvare la magistratura dai suoi demoni e dai suoi partiti. La candidatura di Palamara, e i referendum, sono il cambio di stagione.
Luca Palamara ora è un politico. Si candida alla Camera dei Deputati alle elezioni suppletive di metà settembre, in un collegio lasciato libero dalla deputata grillina Emanuela Del Re, che ha scelto di lavorare per l'Europa. Lo fa con un suo simbolo e l'appoggio dei Radicali. Lista Palamara, come un tempo si diceva Lista Pannella o Lista Bonino.
Qualcuno sostiene che non poteva che finire così. La politica come rifugio. È quello che scriveranno i suoi avversari. La sua scelta è invece un'anomalia. Non è affatto scontata. È una sfida con un finale da definire. Il sistema, il libro scritto con Sallusti, ha avuto un successo inatteso. Le confessioni di Palamara hanno svelato cosa accade nel castello. Non è più sacro. È piccolo e meschino. È governato dalle correnti, che scelgono chi mettere qui e chi là, chi illuminare e chi oscurare. È come i partiti. È di parte. È il potere giudiziario che, a un certo punto, sente il dovere di precettare la politica, e influenza i destini, la indirizza e interviene quando si rischia di tradire il canovaccio. È un tutore, un medico, un contropotere.
Il caso Palamara ha disorientato la magistratura. Ha mostrato crepe e rughe e aperto il discorso pubblico sulla riforma della giustizia. Ha dato il via a una crisi di legittimità. Cosa accade se non ti fidi più come un tempo dei giudici? È la questione politica che stiamo affrontando. Un tempo Palamara non si sarebbe rialzato. Ostracismo. Non avrebbe avuto uno spazio pubblico. Le voci contro di lui sarebbero state forti e autorevoli. Non che adesso siano sparite, ma hanno perso vigore. Non muovono l'indignazione. Non sono al di sopra di ogni sospetto. La magistratura non è più sacra e si è aperta una crepa nella fiducia. Hanno perso peso le parole del Movimento Cinque Stelle.
Non piace il processo prima del processo, con i brogliacci delle intercettazioni che passano direttamente dalla procura ai giornali, come se la vera condanna, in fondo, fosse proprio questa: svergognarti. È la gogna pubblica che arriva prima della sentenza. È la giustizia di piazza. È la giustizia senza dubbi che, quando sbaglia, neppure chiede scusa.
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