Che cosa bolle in pentola

Chi frequenta le stanze dei palazzi che contano non fa mistero della preoccupazione che serpeggia nell'aria

Che cosa bolle in pentola
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Chi frequenta le stanze dei palazzi che contano non fa mistero della preoccupazione che serpeggia nell'aria, con una doverosa e onesta premessa: è un errore confondere, come i più fanno oggi, lo stato di salute della maggioranza di governo con lo stato di salute del Paese. Sul primo, al netto della pericolosa propaganda dell'opposizione, non c'è alcun timore, anzi le cose vanno meglio di quanto si potesse immaginare all'insediamento a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni.

Sul secondo invece la preoccupazione c'è ed è palpabile. Le due cose non sono correlate, perché i conti ereditati da questo governo - sarebbe stata la stessa cosa per qualsiasi governo - sono tali da rendere complicato divincolarsi dall'oggi al domani da zavorre ataviche, si pensi per esempio al debito pubblico appesantito dall'inattesa impennata dei tassi di interesse. Ma non soltanto. Elementi di spesa straordinaria quali sono stati la lotta al Covid, la successiva necessità di una ripartenza forzata dell'economia (aggravata da errori tipo il Superbonus al centodieci per cento) e poi il sostegno all'Ucraina nella guerra scatenata da Putin, hanno scombussolato i conti in modo tale che ora diventa difficile rientrare nei vecchi parametri di rigore di bilancio come qualcuno in Europa - Germania in testa - vorrebbe imporre con miope fretta per trarne qualche vantaggio competitivo.

Di tutto questo, dicono, il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti è assolutamente consapevole, al punto da avere apparecchiato, insieme al premier e ai colleghi, una manovra economica realistica e rispettosa che prova a tenere insieme le principali emergenze nazionali (a partire dalla perdita di potere d'acquisto delle classi medio-basse) con gli impegni e gli accordi europei in materia di conti pubblici. Uno sforzo di responsabilità al momento apprezzato dalle istituzioni sovranazionali e dai mercati ma oltre il quale - si fa sapere e notare - sarà difficile andare, pena la stabilità non della maggioranza politica, bensì della tenuta economica e quindi sociale del Paese.

Di questo si parlerà nei prossimi decisivi incontri con i partner europei - già in campagna elettorale per le elezioni del prossimo anno -, nei quali l'Italia chiederà semaforo

verde ai suoi conti. Che se non dovesse arrivare beh, il problema a quel punto, fanno sapere i bene informati, non sarebbe più di Giancarlo Giorgetti o di Giorgia Meloni, ma dell'Europa stessa ancor prima che dell'Italia.

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