Ho paura che il Covid ci faccia impazzire. Lentamente, impercettibilmente, ma in modo inarrestabile. Prima di tutto nella dimensione personale, profondamente squilibrata, ma anche nella vita pubblica, che ha nella politica il suo specchio deformante. È bastata una riflessione politica, proposta da Berlusconi e rilanciata da Zingaretti e Bettini, per dare una scossa ad alta tensione a tutto il Palazzo. Mentre sullo sfondo il presidente Mattarella apprezzava e rilanciava l'unità di azioni in direzione delle amministrazioni locali, è successo qualcosa di simile alla maionese che improvvisamente «impazzisce». A destra e a sinistra, con diversi toni e gravità, sono partiti missili con l'obiettivo evidente di ostacolare qualsiasi cambiamento della situazione attuale, cristallizzata e caotica insieme. Per carità, nessuno ha parlato di modificare la maggioranza di governo o la sua composizione, il dibattito è su «fare qualcosa di concreto, possibile e tutti insieme contro il virus». Matteo Salvini è partito per primo: no all'emendamento che protegge Mediaset dalla scalata di Vivendi; grandi applausi all'arresto di un esponente di Forza Italia, in un'inchiesta sulla criminalità organizzata. Una reazione forte, troppo rapida, per essere letta superficialmente. Salvini è sembrato innervosito da un possibile cambio di scenario politico che ridurrebbe le sue ambizioni di leader unico del centrodestra, la sua fissazione da qualche tempo, in presenza di qualunque mossa dei suoi alleati. E la fissazione è peggio di una malattia. Matteo rischia di consumare una leadership virtuale senza poterla mai consumare: la Lega - ha ricordato Giorgetti - era al governo già con il 4%, perché governare è avere un progetto comune, una visione e alleanze solide. Adesso sembra ripreso il dialogo, cosa è stato: uno scherzo, un nervosismo personale alla Gianfranco Fini, il Covid? Vedremo.
Scossone a destra e terremoto a sinistra, sempre con lo stesso obiettivo: impedire cambiamenti della dialettica politica. Qui il protagonista è Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare Antimafia e i toni sono davvero gravi e sgangherati, sia per l'oggetto, la defunta presidente della Calabria Jole Santelli, sia per gli argomenti che riescono ad insultare insieme elettori calabresi e malati oncologici. In questo caso, che tutti conosciamo, lo squilibrio è evidente: torna l'Antimafia parolaia, che si occupa di politica, più che di criminalità organizzata. Morra è stato eletto in Parlamento nel 2018, con il suo Movimento prima forza politica al 43%; alle Regionali calabresi non è riuscito ad eleggere consiglieri regionali, con poco più del 7%; poche settimane fa, alle Comunali di Reggio è rimasto ugualmente escluso, totalizzando meno voti di Klaus Davi, che è nato in Svizzera. Senza offesa, temo che Morra rimproveri ai calabresi soprattutto di non avere più votato 5 Stelle. Ma è andata così ovunque. Anche lui però usa il suo peso per una lotta interna al suo partito, colpevole di non sbarrare la strada con decisione a Berlusconi. Alcuni hanno commentato: vedete, questa è la classe dirigente dei 5S, ma io non sono d'accordo. Nelle stesse ore, il ministro Patuanelli ha spiegato chiaramente che l'emendamento del governo è una doverosa protezione per le aziende italiane e Mediaset è solo la prima a rischiare in ordine di tempo. Chiaro e coraggioso, ha sfidato i malumori interni e quelli del direttore della Pravda grillina Travaglio. Resta, però, il problema Morra, che ha dichiarato che non si dimetterà e invece dovrebbe proprio dimettersi, perché la sua carica è istituzionale e non si può sbeffeggiare l'ex rettore Gaudio che avrebbe scarso senso dello Stato, se lo Stato è Morra. Infine, un Paese senza memoria è senza storia e senza futuro.
Ricordate Claudio Scajola? Si dimise da ministro dell'Interno per una frase su Marco Biagi, ucciso dalle Brigate Rosse. Il punto è che a Morra le dimissioni dovrebbero chiederle Di Maio, Grillo e Di Battista, altrimenti per lui è lotta politica, non rispetto delle istituzioni.
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