T ra il 2 giugno 1946 (elezione dell'Assemblea costituente) e il 27 dicembre 1947 (promulgazione della carta costituzionale) passarono 573 giorni. Per un anno e mezzo forze politiche molto diverse comunisti e liberali, democristiani e socialisti battagliarono in vario modo, ma alla fine costruirono una Costituzione certo criticabile, ma che comunque è ancora lì a reggere l'architettura giuridica dell'Italia. Oggi, sabato 18 maggio, sono passati esattamente gli stessi 573 giorni dal 22 ottobre 2017: da quella domenica che ha visto i cittadini di Veneto e Lombardia approvare in forma plebiscitaria la proposta di utilizzare il comma 3 dell'articolo 116, che prevede la possibilità per le regioni a statuto ordinario di ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Nelle condizioni del dopoguerra fu insomma più facile darsi una Costituzione di quanto non lo sia oggi attribuire talune limitatissime forme di autogoverno alle regioni che vogliono gestire la scuola, i beni culturali o altro. È chiaro che le forze di maggioranza, i Cinquestelle ma anche la Lega, non credono davvero nel progetto e non ritengono importante rispettare la volontà popolare. Se l'autonomia del Veneto e della Lombardia fossero considerate cruciali (al pari dell'immigrazione o del reddito di cittadinanza), la questione sarebbe già stata chiusa. Per di più taluni ambienti hanno mostrato un'impressionante capacità di resistenza, a riprova del fatto che anche una piccola riforma volta a chiedere «più responsabilità» spaventi chi è schierato a difesa dello status quo. Questa settimana il Quotidiano del Sud ha titolato in prima pagina un pezzo di Giuseppe Tesauro che arriva a vedere nell'ipotesi di autonomia differenziata «una secessione chiara e netta». In definitiva, chiedere che il Veneto abbia scuole gestite dalla Regione sarebbe eversivo e persino golpista. Ma l'intervento del presidente emerito della Consulta è solo l'ultimo di una lunga serie. Se è più difficile restituire a veneti e lombardi un poco della libertà che finora sono state loro sottratte (certo senza illudersi di arrivare alle condizioni di Sicilia o Trentino) questo discende dal fatto che chi parla di autonomia lo fa controvoglia e chi invece s'oppone sa bene che ogni minuscola modifica nella giusta direzione rischia di mettere in discussione tutto. Non ha comunque senso difendere l'esistente. Le regioni più produttive del Nord (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) sono fortemente danneggiate da una redistribuzione delle risorse che si concretizza in alte tasse e servizi scadenti. A ribellarsi di fronte alla situazione presente, però, dovrebbero essere in primo luogo le regioni meridionali, costrette a patire un assistenzialismo devastante.
Chi oggi accusa il Nord di egoismo e difende questa redistribuzione territoriale senza eguali al mondo, danneggia il primo luogo la società meridionale, che in questa Italia giacobina non riesce a crescere e trovare una sua strada verso lo sviluppo.Carlo Lottieri
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