Il silenzio assordante, sulla vicenda che ha visto un uomo dello Stato vittima del Paese che ha servito per anni, è stata interrotto dal sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, che ha deciso di concedere la cittadinanza onoraria di Palermo a Renato Cortese: colui che in Sicilia è stato ex questore del capoluogo, super poliziotto nella lotta alla mafia e simbolo di un riscatto di un'Isola contro la criminalità organizzata. Sullo sfondo i rumors su un suo eventuale subentro a Villa Whitaker come prefetto all'uscente Giuseppe Forlani, andato in pensione il Primo ottobre.
Il caso Shalabayeva
Non vi fu nessun sequestro di persona sulla vicenda dell'espulsione di Alma Shalabayeva, moglie dell’oligarca kazako Mukhtar Ablyazov, banchiere e sedicente oppositore del regime filorusso di Nursultan Nazarbaev. Una vicenda intricata che si verificò la notte tra il 28 e 29 maggio 2013, quando la Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco, periferia estrema di Roma. Le forze dell'ordine, in realtà, cercavano il marito, ma alla donna fin dal primo momento venne contestata l'accusa di possesso di un passaporto falso. Due giorni dopo venne firmata l'espulsione e madre e figlia vennero rimpatriate in Kazakistan. Tornarono in Italia nell'aprile del 2014 e alla Shalabayeva venne riconosciuto l'asilo politico. Subito dopo l'espulsione si alzò il polverone mediatico, che portò poi alle dimissioni del capo di gabinetto del ministero dell'Interno Giuseppe Procaccini, e in seguito al processo.
Per la Terza sezione del tribunale di Perugia, che si era espressa nel 2020, la vicenda Shalabayeva fu catalogata addirittura come "rapimento di Stato", "un crimine di eccezionale gravità, lesivo dei valori fondamentali che ispirano la Costituzione repubblicana e lo Stato di diritto". Cortese in primo grado venne condannato a 5 anni con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Poi la Corte d'appello di Perugia lo scorso giugno aveva assolto tutti gli imputati coinvolti nel caso annullando, di fatto, la sentenza di condanna di primo grado: "perché il fatto non sussiste". Una sentenza che per Renato Cortese, ex questore di Palermo e super poliziotto che arrestò i boss Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca, era arrivata come un sospiro di sollievo a dimostrazione del corretto operato della polizia.
La condanna mediatica
Rimosso dal suo incarico poche ore dopo la condanna di primo grado; Assolto, insieme agli altri imputati, perché il fatto non sussiste nella sentenza di appello. Cortese ha vissuto questi ultimi due anni sapendo di avere sempre operato nel rispetto della legge. Eppure 4 mesi dopo l'assoluzione Renato Cortese non ha un ruolo ufficiale nella polizia. Nessun reintegro immediato. Dopo il 9 giugno, il telefono di Cortese è rimasto muto, lasciandolo nel limbo, senza incarichi ufficiali. Eppure le carte della sentenza di appello parlano chiaro: "il fatto non sussiste". Assieme a Cortese, che al momento dell'espulsione di Shalabayeva era capo della squadra mobile di Roma, erano imputate altre 6 persone per le quali i giudici hanno allo stesso modo totalmente rivisto il verdetto, scagionandole tutte.
Una carriera nell'antimafia
Protagonista diretto della cattura l'11 aprile 2006 in una masseria nelle campagne di Corleone del padrino di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, latitante da 43 anni, e dell'arresto di numerosi altri superlatitanti delle cosche, come Pietro Aglieri, Salvatore Grigoli, Gaspare Spatuzza, Giovanni ed Enzo Brusca, dopo avere diretto il Servizio Centrale Operativo della Polizia, dal 2017 sino a metà ottobre del 2020 Renato Cortese è stato questore di
Palermo. Incarico che dovette lasciare in seguito al coinvongimento, da ex capo della squadra mobile di Roma nella vicenda di Alma Shalabayeva. Cortese da 4 mesi attende un ruolo ufficiale. Palermo è pronta a riabbracciarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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