Dopo la clausura ritroviamo i nostri paradisi perduti

L'esperienza della clausura fatta durante il coronavirus ci ha fornito un esempio di che esperienze e che problemi possono nascere in un luogo chiuso di cui conosci ogni anfratto e da cui non puoi uscire.

L'esperienza della clausura fatta durante il coronavirus ci ha fornito un esempio di che esperienze e che problemi possono nascere in un luogo chiuso di cui conosci ogni anfratto e da cui non puoi uscire. O dormi o sonnecchi o cerchi stimoli nuovi. Tutto ciò che hai già visto ti diventa noioso. Anche un film bellissimo rivedendolo ti annoia. Non ti fa più aspettare il seguito, non sei desideroso di sapere come va a finire. La nostra mente per vivere ha bisogno di stimoli nuovi, di cibi nuovi, di persone nuove. In realtà ha bisogno di desideri da soddisfare, di mete da raggiungere, di problemi da risolvere, di nemici da combattere. Cose che il mondo ha sempre dato con una continua differenziazione geografica, scientifica, politica e culturale.

Poi nel secolo scorso è incominciato un processo di standardizzazione nel campo politico con le ideologie, in quello produttivo con la produzione di massa e, nel campo della distribuzione, con le multinazionali. Il processo si è accelerato con la globalizzazione e con internet che ci consente di vedere e di essere dovunque. Ma sapendo che non si può raggiungere la velocità della luce percepiamo la terra come uno spazio limitato da cui non potremo mai uscire: una casa sovrappopolata dove tutto tende ad uniformarsi. Dappertutto trovi la stessa lingua, le stesse marche, gli stessi prodotti. Le stesse serie televisive, le stesse offerte turistiche. Non c'è più nessuna terra da scoprire, non ci sono più luoghi inesplorati. Non la foresta amazzonica, non il Polo Nord o il Polo Sud. L'Everest è ormai un campeggio. Non è possibile neanche immaginare un posto remoto dove collocare uno Shangri-La. Non ci sono più popoli primitivi, i loro riti sono delle recite fatte per gli antropologi o per i turisti.

Per questo motivo dobbiamo temere tutti i processi di concentrazione e di standardizzazione, vengano essi dal dominio del mercato, da uno Stato burocratico centralizzato o da un monopolio comunicazionale.

Bisogna fare ogni sforzo per far rinascere le diversità politiche, culturali e produttive di ogni Paese, di ogni popolo, dando spazio all'autogoverno locale, con strutture federali leggere, frenando il potere delle sovranazionali.

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