Il Bergamasco sta pagando un tributo di sangue altissimo al coronavirus. Indimenticabili nella loro drammaticità le immagini dei camion militari che trasportavano in altri luoghi le bare di chi ha perso la vita in questa terribile guerra scatenata improvvisamente da un nemico spietato ed invisibile. Tragedia nella tragedia, le persone decedute non hanno avuto neanche la possibilità di un ultimo saluto dei propri cari.
Il comune di Nembro, in Val Seriana, e Alzano Lombardo sono i due comuni della provincia di Bergamo con la più alta percentuale di pazienti contagiati da Covid19. Un vero disastro, inimmaginabile fino ad un mese fa. Come racconta Tpi in una inchiesta, molte fabbriche hanno chiuso dopo il decreto ministeriale di sabato 21 marzo ma alcuni sindacalisti della zona dichiarano che nonostante tutto, diverse aziende si stanno preparando per ripartire già da lunedì. Altre, invece, non si sono proprio fermate in quanto l’attività produttiva era tra quelle consentite. Morte e vita che si intrecciano. Perché è vero che qui si stia consumando un immenso dramma ma c’è chi non si arrende. Del resto, questa zona della Lombardia contano poche decine di migliaia di abitanti ma ben 370 aziende, 4000 lavoratori circa e 680 milioni di fatturato all’anno.
Proprio Tpi, una settimana fa aveva raccontato la storia di questi due comuni e del focolaio lombardo che si ritiene essere partito dall’ospedale Pesenti Fenaroli. Il giornale online riporta notizie provenienti dalla Fondazione Gimbe, organo indipendente di ricerca e informazione in ambito sanitario, secondo cui "i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti in ambito medico, all’informazione alla popolazione".
Tutte queste attività erano previste dal "Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale" predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e successivamente aggiornato al 10 febbraio 2006. "È inspiegabile che tale piano non sia stato ripreso e aggiornato dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, lo scorso 31 gennaio", ha affermato il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta.
Si sarebbe potuto intervenire tempestivamente seguendo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sul modello Corea del Sud: individuare il contagio, isolarlo, testarlo e tracciare tutti i contatti. In Italia si è andati avanti diversamente. Forse anche per l’inatteso divampare dell’epidemia, qualche un errore si è accumolato ad errore.
Il giornale online "Valseriana News”"ha segnalato allo stesso Tpi una nuova testimonianza di un’assistente socio-sanitaria che si trovava dentro all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo la notte tra il 22 e il 23 febbraio. Secondo quanto riportato, la donna stava seguendo un paziente di 80 anni ricoverato per un check up nel reparto di Medicina generale. L’anziano si trovava in una stanza condivisa con un 60enne affetto da una grave polmonite.
"Il nostro vicino di letto aveva la febbre alta, non riusciva a respirare – ha raccontato l’assistente sanitaria – e chiamava l’infermiera in continuazione, perché era evidente che stesse soffrendo molto, indossava il casco dell’ossigeno, che però continuava a cadere, era agitato, sudava e lo sentivo ripetere ‘non riuscite a capire che io sto morendo, sto morendo’. Queste parole mi sono rimaste impresse nel cervello”. La donna ha poi aggiunto di essersi allarmata quando ha notato che gli infermieri che avevano iniziato a indossare le mascherine con il filtro, "quelle buone, mentre fino a qualche giorno prima li avevo visti solo con quelle chirurgiche".
Il giorno dopo, nell’ospedale che dista solo cinque chilometri da Bergamo, sono stati diagnosticati due casi di coronavirus: uno di loro è transitato dal pronto soccorso e un altro nel reparto di Medicina generale. L’assistente sanitaria viene informata che il paziente in camera con il suo assistito è morto e che il nosocomio era stato prima chiuso e poi riaperto. La donna, nonostante fosse presente in ospedale, non viene contattata dalle autorità sanitarie né sottoposta a tampone. Lo stesso accade per altre sue colleghe. Inoltre, circa dieci giorno dopo si registra anche la morte del paziente che la donna seguiva. L’assistente sanitaria, invece, si ammala. Nonostante non sia stata sottoposta a tampone, ipotizza che la causa sia da ricercarsi nel coronavirus.
Il giornale online Tpi sottolinea che nel Bergamasco ci siano decine di testimonianze drammatiche simili a quelle fornite dalla donna. Vista la situazione, molte famiglie della zona stanno pensando di formare un comitato per chiedere verità e giustizia per i loro cari uccisi dal coronavirus. L’avvocato Roberto Trussardi, già contattato da alcune persone per avere un parere legale, non usa mezzi termini: "Non si capisce perché la Procura della Repubblica non abbia ancora annunciato l’apertura di un’inchiesta per il reato di epidemia colposa contro ignoti, perché sarebbe utile sapere qual è il magistrato che se ne occupa, in modo tale che i parenti delle vittime e le parti lese possano inviare materiale e fornire una collaborazione per lo sviluppo successivo di un’indagine, che faccia luce su quanto accaduto dentro all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo. Il fatto che ancora non si sia mosso nulla mi sembra incomprensibile così siamo in un vero e proprio limbo".
Tpi ha fatto un’altra rivelazione. L’indicazione tecnico-scientifica di "chiudere" Alzano Lombardo e Nembro per bloccare il diffondersi dell’epidemia era stata messa per iscritto all’inizio di marzo. Il giornale online fa alcune importanti premesse. Innanzitutto specifica che il governo ha sempre affermato di agire sulla base di evidenze scientifiche elaborate anche attraverso un sorveglianza epidemiologica della propagazione del coronavirus in Italia. Il Comitato tecnico scientifico che consiglia il premier Conte sull’emergenza sanitaria è formato da esperti e dirigenti del settore già inseriti nella pubblica amministrazione per la loro attività in campo sanitario: tra questi, ad esempio, vi sono il direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani" e il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Non è chiaro, afferma Tpi, se le informazioni date al governo siano in via informale o vengano messe a verbale.
Fatta questa premessa, Tpi continua nel suo racconto affermando di aver verificato come il 2 marzo, quindi una settimana dopo aver diagnosticato i primi pazienti infetti da Covid-19 all’ospedale di Alzano Lombardo, sia stata messa nero su bianco una nota tecnica dell’Iss che evidenziava l’incidenza di contagi da coronavirus nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro e in quello bresciano di Orzinuovi. Oltre a questa segnalazione si raccomandava l’isolamento immediato di queste aree con la creazione di una zona rossa.
Ma nel documento vi era anche altro e non di poco conto. Nel testo si sottolineava che i due comuni bergamaschi si trovavano vicino ad un grande centro urbano. Ciò, ovviamente, era un ulteriore fattore di rischio. Questa nota è stata aggiornata il 5 marzo. Tpi specifica che non si sa se il documento sia mai stata messa a verbale e firmata dai membri del Comitato tecnico scientifico per poi arrivare sul tavolo di Giuseppe Conte. Tanti i dubbi. Viene da chiedersi cosa sarebbe accaduto se si fosse subito creata una zona rossa in quest’area.
"La stragrande maggioranza dei contagi e dei morti che abbiamo oggi – ha afferma il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta – sono il frutto delle azioni fatte e non fatte tra la fine di febbraio e il 10 di marzo. È evidente".
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