La satira non deve fermarsi neppure in tempo di Coronavirus, anzi, proprio in questo momento di estrema difficoltà affrontato dal nostro Paese, può essere vista come un altro modo di raccontare la verità. Di ciò è convinto il vignettista Vauro Senesi che, intervistato da “Agi”, spiega come le sue caricature permettano di dare una diversa lettura della situazione, allontanandosi dal cosiddetto pensiero unico.
“Che ci sia una lettura satirica, perlomeno non convenzionale, delle prese di posizione rispetto a quello che sta accadendo, è addirittura indispensabile”, dice infatti Senesi, che poi passa a parlare di quanto sta accadendo in Italia. “Ogni periodo ha la sua drammaticità, questa è solo una tragedia che ci riguarda da vicino ma non è di certo la prima tragedia. Noi viviamo in un paese dove, per esempio, i morti sul lavoro sono mediamente tre alla settimana”, attacca il vignettista toscano prima di tornare, ancora una volta, a parlare delle morti in mare.“Ci sono tragedie alle quali siamo abituati e non consideriamo tragedie. Il mar Mediterraneo è diventato una fossa comune e non la viviamo come una tragedia”, aggiunge ancora.
“È diventato purtroppo una sorta di senso comune che ci siano temi ormai sacrali. Per l’opinione pubblica fare satira sul Coronavirus significa offendere i morti. Questo è un mantra che posso valutare attraverso le minacce che mi arrivano”, commenta Vauro. “Sinceramente io faccio vignette proprio perché sono ricco di dubbi. Se avessi dogmatiche certezze probabilmente farei un altro lavoro. Io credo che la vignetta, come la satira, lasci libertà di interpretazione, che è insita nel discorso satirico. Se serve a qualcosa, ammesso che serva a qualcosa, serve proprio a coltivare il dubbio. La satira (a differenza della comicità) non è la ricerca della risata, tant’è che purtroppo non è la prima volta che mi succede di usare il linguaggio satirico, che è quello che più mi è consono, in situazioni di tragedia”, spiega. “Io ho fatto vignette dall’Iraq, sotto i bombardamenti, dall’Afganistan sotto i bombardamenti. Certo quelle non erano valutate come tragedie perché avvenivano lontano, io però non ero lontano, ero là”, aggiunge, prima di ritornare sull'emergenza Coronavirus in Italia.
“Sento che viene usata costantemente questa orrenda metafora: ‘Siamo in guerra’. Chi la usa in guerra non c’è mai stato. Io purtroppo si. Non sto dicendo che non esiste l’emergenza Coronavirus né sto dicendo che dobbiamo uscire tutti ad abbracciarci, sto dicendo semplicemente che stiamo vivendo in maniera inquietante mesi di scuola dell’obbedienza che una qualsiasi dittatura politica si sognerebbe”, aggiunge. Quindi, la poco velata frecciata al patriottismo.“La satira è questo: cercare di raccontare altro. Io ci provo, non so con quanto successo, a guardare le reazioni indignate direi con molto successo, mi potrei anche montare la testa.
Cerco di uscire da questo clima di malinteso patriottismo. Che poi come al solito, chissà perché, insieme al patriottismo marciano sempre delle visioni autoritarie della società”, afferma, concludendo così l'intervista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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