Zangrillo sferza gli italiani: "Malati di inedia, ripartite"

A "Mezz'ora in più" su Rai3, il professore Alberto Zangrillo si ribadisce ottimista: "I focolai? Nuovi contagiati non sono malati. Vanno controllati, ma basta con allarmismi a caso"

Zangrillo sferza gli italiani: "Malati di inedia, ripartite"

È stata una battaglia molto dura ma ora si può guardare con grande speranza al futuro senza farsi intimorire dal coronavirus perché gli attuali segnali sono decisamente favorevoli.

È questo in sintesi il pensiero di Albero Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano, sulla situazione sanitaria legata a Covid-19. Ospite di Lucia Annunziata a "Mezz'ora in più" su Rai3, il professore ha ammesso di essere decisamente ottimista. Eppure sono passati solo tre mesi dal momento più buio della storia recente italiana. "Se torno indietro- ha ricordato Zangrillo- il 28 marzo è stato il giorno in cui sono stato più spaventato, mi veniva da piangere. Non sapevo dove mettere i malati. Oggi è il 28 giugno e tutti gli indicatori sono assolutamente favorevoli".

Ottimismo sì ma c'è una questione che proprio non piace al professore: la disperazione e il senso di smarrimento che, nonostante il quadro sanitario molto migliorato, sta affliggendo gli italiani. "Ancora adesso si crea disorientamento quanto ogni giorno leggiamo dei casi in Italia ma non sono malati. Con questo non voglio dire che da domani siamo liberi di fare quello che vogliamo - ha affermato - ma non dobbiamo confondere ed allarmare a caso. Il fatto che l'Italia sia ripartita per un terzo equivale per me a una gravissima malattia in corso. In questo momento il Paese è malato di inedia, disperazione".

Zangrillo ci tiene a precisare che la sua "non è politica ma constatazione. I malati non vengono a farsi curare: muoiono di cancro, di infarto, hanno paura a venire in ospedale e non consumano". Per il primario in questo momento ci sono tre scenari: "Può non esserci nulla, può esserci la Spagnola, può esserci qualche focolaio da controllare. Io metterei un chip su quest'ultima eventualità, è la più verosimile, vista la storia della medicina. Se dovesse andare così noi siamo pronti, quindi dobbiamo tornare a vivere".

Il professore, inoltre, ha spiegato perché non teme i nuovi focolai registrati nel nostro Paese: "Non hanno alcun significato per me. In Florida c'è stata un'esplosione di infezione, quindi di soggetti infettati ma non malati. Anzi, la mortalità è passata dal 6,7 allo 0,4. In Italia abbiamo una serie di focolai che vanno controllati e identificati ma non equivalgono al focolaio di malattia". Il professore, per suffragare la sua tesi, ha anche raccontato di aver "parlato con Napoli, dove c'è stata finale coppa Italia e la paura di assembramento e non c'è un malato al Cotugno o al Monaldi".

Zangrillo, poi, ha spiegato cosa potrebbe essere accaduto in questi mesi al virus e perché oggi il numero di malati non aumenta come all’inizio dell’emergenza sanitaria. "Non è per essere faciloni o dire che non c'è il virus - ha sottolineato il professore-. Il virus c'è e non è mutato ma nella sua interazione con l'ospite è andato incontro, attraverso il fenomeno dell'omoplasia, a una perdita della carica rilevata in laboratorio, quindi è un'evidenza a cui corrisponde una mancanza di malattia. Non posso dire che non torni tra qualche mese ma tutti gli indicatori sono positivi".

"La carica virale- ha spiegato ancora- dipende anche dalla capacità replicativa del virus. I virologi stanno osservando dai tamponi che il virus ha smarrito questa capacità. C'è poi un altro aspetto, questi virus hanno tutti una storia. Non è che questo, che si è presentato in modo peggiore ed è per certi versi ancora sconosciuto, non possa ricalcare quello che è capitato per altri virus analoghi, che a un certo punto hanno esaurito il loro "ciclo produttivo". Per questo, secondo il primario del San Raffaele di Milano "invece che pensare alla Spagnola o eventi più drammatici, magari prendiamo in considerazione anche questo aspetto".

Esiste un altro punto importante che ha voluto specificare Zangrillo:"In questi 4-5 mesi abbiamo prodotto una serie di lavori ed evidenze scientifiche sui farmaci, sappiamo chi dobbiamo proteggere. In Florida è emerso un dato straordinario: l'età media dei contagiati, non malati, si è spostata verso il basso: è di 35-38 anni. Significa che dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sui soggetti più anziani, lavorando in sintonia col territorio, che se non è gestito non fa produrre niente di buono. Possiamo avere anche centomila terapie intensive ma se non sappiamo farle funzionare la gente morirà anche peggio" di adesso.

Il professore ha poi concluso il suo intervento ricordando alcuni "inviti" fatti ad inzio emergenza: "Quando qualcuno suggeriva di costruire un fantasmagorico numero di terapie intensive

quale ultimo e unico baluardo per controllare questo e altri tipi di virus. Io ho detto che non condividevo. Penso invece che vada finanziato un piano pluriennale per fronteggiare ogni tipo di emergenza sanitaria".

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