La corsa al potere del boss Antonio Massimino, disposto ad uccidere anche i bambini

Emergono inquietanti risvolti dalle indagine della Direzione investigativa antimafia di Agrigento che ha portato all'arresto di 34 persone. Dall'operazione denominata Kerkent si delinea il profilo di un criminale spietato

L'operazione antimafia condotta dalla Dia di Agrigento, che oggi ha portato all'arresto di 32 persone, "è una storia che esplode oggi, ma che risale al 2015", afferma Roberto Cilona, capo sezione della Dia di Agrigento. "Noi concentriamo l'attenzione su Antonio Massimino, scarcerato nel gennaio del 2015 - prosegue Cilona -. Si tratta di un soggetto organico alle file di Cosa nostra, già dal 1999 e da soldato semplice si è fatto strada anche in vista della vacatio di un leader mafioso ad Agrigento. Massimino sarebbe riuscito ad ottenere un'investitura diretta dal boss agrigentino Cesare Lombardozzi, morto qualche tempo fa". Massimino - arrestato nel 1999 e nel 2005 nell’ambito delle operazioni Akragas e San Calogero - una volta scarcerato, secondo gli inquirenti "ricostituisce la famiglia mafiosa di Agrigento" rilanciando gli aspetti operativi e quelli logistici di un'intensa attività di traffico di stupefacenti, attraverso uno strutturato gruppo criminale armato, attivo nel narcotraffico, composto, fra gli altri, da Valentino Messina, fratello di Gerlandino, considerato ex vice capo provinciale di Cosa nostra per la provincia di Agrigento.
Il profilo delinquenziale dI Massimino emerge evidente anche all’interno del proprio ambito associativo, facendosi uno spregiudicato criminale fa ricorso "a condotte gravemente minacciose ed arrivando perfino a minacciare di morte un suo sodale. Tale cinica tracotanza si è estesa finanche alla prospettata eventualità di uccidere bambini pur di affermare la propria autorevolezza criminale", spiegano dalla Direzione investigativa antimafia
Un aspetto che delinea il profilo di un soggetto pericoloso che non guardava in faccia nessuno e che pur di confermare la sua leadership ad Agrigento avrebbe più volte minacciato i suoi rivali.


Nel corso delle indagini sono stati raccolti altri elementi che confermano il ruolo di Massimino: "in tale veste, ha più volte partecipato ad incontri riservati con membri di altre famiglie mafiose, perseguendo un accurato controllo del territorio da esercitare illecitamente, non solo attraverso forme di interferenza nello svolgimento delle attività produttive, ma anche autorizzando la commissione di delitti e facendo leva sulla capacità di intimidazione che gli derivava dal ruolo apicale all’interno del sodalizio mafioso".

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