Michel Houellebecq recupera, incarna e prosegue la grande linea della letteratura francese che potremmo definire reazionaria. Nessun paese come la Francia possiede infatti una cosi chiaro ed evidente, tracciato reazionario nella letteratura, il che non stupisce, come risposta ai droits de l'homme, al repubblicanesimo e, dopo il 1945 e per molti anni, all'egemonia marxista. Bisogna naturalmente intendersi su cosa voglia dire reazionario e perché definiamo cosi il grande romanziere.
Non essendo critici letterari, e ben consci della difficoltà di utilizzare categorie politiche per comprendere le opere di fantasia, ci limiteremo alle prese di posizione pubbliche di Houellebecq, ora raccolte nel volume Interventions 2020 (Flammarion), una nuova edizione rispetto a quella uscita anni fa e arricchita di nuovi spunti, fino a prendere in considerazione la pandemia. Cosa significa reazionario?
Contrariamente alla vulgata di chi ha letto solo un paio di manuali, il reazionario non è colui che vuole tornare ad un regime precedente: da pessimista, e da anti-volontarista, è ben conscio dell'impossibilità di tutto questo. Il reazionario è piuttosto colui che re-agisce, si attiva, per frenare la corsa del tempo verso la direzione non di maggiore libertà ed eguaglianza, come vuole la religione progressista, ma di cancellazione dell'uomo, del suo spirito e pure dei suoi bisogni, dei suoi istinti. Il reazionario è a tutti gli effetti un conservatore e, almeno nella tradizione politica francese, i due termini finiscono per coincidere. Non v'è dubbio che tutta l'opera di Houellebecq sia una fredda, razionale, quasi asettica, disanima della distruzione delle radici e della identità e di quanto l'uomo nuovo, prodotto dalla tecnologia, sia impoverito rispetto ai secoli e ai millenni precedenti. «L'uomo è un infermo affettivo, incapace di interesse per gli altri, di compassione e di amore, profondamente egocentrico, definitivamente prigioniero di se stesso, si situa in questa zona crepuscolare tra la scimmia e l'umano». L'uomo moderno è quindi regredito, per Houellebecq, non biologicamente ma culturalmente, a uno stadio inferiore: il progresso non è sinonimo di bene, e anzi più spesso lo è di male. E non è che l'inizio, visto che il progetto dell'uomo moderno, convinto di essere più «avanti» rispetto ai suoi avi, spinge per il «controllo tecnologico assoluto sulla natura», per costruirne una nuova «su basi conformi alla legge morale».
Diversamente dallo stereotipo del reazionario, Houellebecq è immerso in questa modernità che, per altro, giudica orrenda: è uno scrittore metropolitano, del tutto estraneo alla tradizione bucolica di molta letteratura francese, e vuole approfittare della tecnologia, fino a voler farsi clonare non appena possibile. Che cosa può fungere da forza frenante rispetto a questa decadenza? Per Houellebecq quasi nulla. Non la politica: egli è uno scrittore tremendamente impolitico, come quasi tutti i grandi conservatori, ed è per questo che le sue intuizioni politiche sono più lucide. Non la letteratura: che non «serve a niente, se fosse servita a qualcosa la feccia di sinistra non avrebbe potuto neppure esistere». Può fungere da katéchon, da forza frenante, la religione. Houellebecq si dice ateo, ma si colloca su una linea anch'essa tipicamente francese, di «cattolici atei» non credenti confidanti nella religione come ultimo baluardo in difesa dello spirito e dell'uomo. Insieme all'interesse per la religione negli ultimi romanzi, anche gli interventi dei recenti anni, sempre qui raccolti, dimostrano un avvicinamento, almeno da un punto di vista intellettuale, di Houellebecq alla religione cattolica. Cattolica e non cristiana, visto il giudizio molto duro sul protestantesimo. Come Edmund Burke, Houellebecq è convinto che l'uomo sia di natura un «animale religioso» e quindi «ogni felicità è di origini religiosa, perché la religione offre la sensazione di essere legati al mondo di non essere uno straniero in un mondo indifferente», mentre l'età contemporanea, dominata dal nichilismo, esprime tutto «l'orrore di un mondo senza Dio».
Reazionario vuol dire conservatore, e viceversa, dicevamo. Il pezzo forte della raccolta, almeno per comprendere Houellebecq politico, è un saggio sul conservatorismo, che per scrittura e lucidità sarà da meditare a lungo. Con il tipico stile paradossale della sua prosa, Houellebecq scrive che il vero progressista è il conservatore, allo stesso modo che la pigrizia è «madre della efficacia». Il conservatore non condivide l'antropologia del progressista, che «vive in una sorta di epifania permanente, in cui tutto ciò che appare è buono solo per il fatto che appare». Il conservatore o nuovo reazionario, come scrive lo stesso Houellebecq, invece è abitato dalla «pigrizia», più attinente alla natura umana: non a caso nella società degli uomini i passaggi avvengono con «sforzo minimale» lentamente e gradualmente, al di là della retorica della rottura e della novità tipiche della modernità. Quella di Houellebecq è una antropologia, più che una filosofia, conservatrice: il conservatorismo è la visione del mondo più attinente la natura dell'uomo, che «come qualsiasi altro animale, non è fatto per vivere in un mondo costantemente variabile. L'idea di un cambiamento permanente rende la vita impossibile».
Da qui l'ostilità alle retoriche del globalismo, da quella dell'immigrazione come fonte di ricchezza («gli immigrati meno integrati sono quelli più apprezzati», come i cinesi) a quella della Ue: «una idea nefasta o meglio stupida, che si è poco a poco trasformata in un brutto sogno». Dalle spire demoniache della modernità - questa è la lezione di tutta l'opera di Houellebecq - non si sfugge tuttavia scappando ma solo immergendosi in essa, per criticarla, smontarla e combatterla fino in fondo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.