Il piano della Meloni per far schiantare il campo largo

Campi diversi, opinioni diverse, pronostici diversi. Nel centrodestra in Abruzzo non c'è l'atmosfera sarda

Il piano della Meloni per far schiantare il campo largo
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Campi diversi, opinioni diverse, pronostici diversi. Nel centrodestra in Abruzzo non c'è l'atmosfera sarda. Girano due sondaggi: uno confezionato da Noto per Forza Italia che assegna al presidente uscente, Marsilio, il 52%, quindi, quattro punti in più dello sfidante. In un altro il vantaggio scende a due, ma il candidato del centro-destra è comunque in vantaggio. «La situazione è diversa - confida il ministro Adolfo Urso - rispetto alla Sardegna. Marsilio dovrebbe spuntarla. Noi ci stiamo dando da fare: due giorni fa ho inaugurato il raddoppio del centro spaziale del Fucino. Saranno assunti 200 nuovi addetti di alto livello professionale». E ancora: «Vincere in Abruzzo è fondamentale perché questa volta abbiamo contro tutti, ma proprio tutti. E una vittoria ci darebbe la possibilità di smontare subito la narrazione del campo largo a cui il risultato sardo ha dato ossigeno. Anche se poi, in realtà, un conto è mettere insieme tutti alle regionali, un altro alle politiche nazionali. Lì c'è la politica estera che a sinistra non unisce dai tempi del Pci con l'URSS».

Nell'altro campo, naturalmente, si respira un'aria diversa. Nel Pd ci credono. Dicono che a Teramo e a Chieti il «campo largo» vince, a L'Aquila perde e tutto si decide a Pescara. La speranza è di attingere i voti che mancano nel serbatoio del «non voto» delle ultime elezioni. «Io ho padre abruzzese - racconta Matteo Orfini - e tra i nostri c'è entusiasmo. Siamo sul filo. Poi gli abruzzesi sono come i sardi, non sopportano le imposizioni di Roma». I grillini, invece, sono più cauti, prudenti. «Certo recuperare 10 punti - è la nota di realismo di Giuseppe Conte - non è facile».

Sulla carta, quindi, il centro-destra parte in pole position. Poi, l'esperienza insegna, che può succedere di tutto. L'unica cosa certa è che la posta in gioco è alta. Con una vittoria in Abruzzo il «campo largo» della Schlein decollerebbe, rappresenterebbe un trampolino di lancio fino per le elezioni Europee. Con una sconfitta, invece, il progetto si schianterebbe sul Gran Sasso. O meglio, sarebbe ridimensionato perché finora nel centro-sinistra non c'è una strategia alternativa. Ma un conto è arrivare al voto per il Parlamento di Strasburgo sulla scia di una serie di risultati positivi, un altro arrivarci dopo delle sconfitte, in Abruzzo e magari anche in Basilicata, che priverebbero una proposta politica che, peraltro, si riduce ad un'alleanza elettorale per vincere, del suo fascino.

In più una vittoria in Abruzzo sarebbe corroborante per la coalizione di governo, riporterebbe un minimo di calma al suo interno. La sconfitta, invece, del primo presidente di regione di Fratelli d'Italia, nella regione in cui Giorgia Meloni è stata eletta finirebbe, in un modo o nell'altro, per indebolire l'immagine della Premier. Comincerebbe un processo di logoramento del consenso. «Il centro-destra è troppo sicuro di imporsi - osserva la maga dei sondaggi Alessandra Ghisleri - quando la partita è, invece, estremamente delicata. Noto pure un certo ottimismo nel Pd. Quindi, abbiamo due atteggiamenti contraddittori. L'appuntamento, però è vitale per la Meloni. Se il campo largo vincesse in Abruzzo potrebbe partire nell'opinione pubblica un'onda montante contro il governo. Quindi per la premier è essenziale bloccare il pericolo sul nascere. Deve vincere al costo di portare i suoi elettori a votare in lettiga. A livello nazionale FdI è passato da un 30-29% di due mesi fa al 28-27% di adesso. Un sconfitta in Abruzzo potrebbe accelerare una curva discendente».

Inoltre si sa, mentre la vittoria unisce, la sconfitta divide. L'idea di ripresentare dopo il monito sardo tutti i governatori uscenti nelle elezioni regionali ha raffreddato le tensioni nella coalizione di governo. Solo che questo indirizzo di marcia deve essere perseguito anche in futuro. Specie per quanto riguarda la ricandidatura di Zaia in Veneto che è la vera «mina» sul cammino della maggioranza.

«Noi abbiamo due asset il Veneto e la Lombardia - ragiona concitato il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa - mettere in discussione la ricandidatura di Zaia significa mettere a repentaglio la sopravvivenza della Lega. In quel caso esplode tutto».

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