La costante da cambiare

Il giorno in cui dopo la tempesta Palamara il Consiglio superiore della magistratura, cioè l'organismo di autogoverno dei giudici, è stato rinnovato, una riflessione è d'obbligo

La costante da cambiare

Il giorno in cui dopo la tempesta Palamara il Consiglio superiore della magistratura, cioè l'organismo di autogoverno dei giudici, è stato rinnovato, una riflessione è d'obbligo: nelle ultime settimane due vicende a sfondo eminentemente politico si sono dimostrate specchietti per le allodole. La prima è stata quella sui rubli che la Lega avrebbe ricevuto dalla Russia di Putin: tutto archiviato, un buco nell'acqua, ma per tre anni e mezzo l'inchiesta ha avvelenato i pozzi di Matteo Salvini. Poi il caso che ha coinvolto il parlamentare europeo di Fratelli d'Italia, Carlo Fidanza: la «lobby nera» dietro presunti finanziamenti illeciti era una bufala, i magistrati hanno raccolto zero prove e ritirato le accuse.

Scrivo «specchietti per le allodole» perché alla fine dei giochi queste vicende sono servite solo ad attirare l'attenzione degli elettori su accuse infondate, condizionandone il voto. Hanno contribuito a logorare il consenso del leader della Lega, che alle elezioni europee del 2019 aveva superato il 34% e dopo l'affaire dei rubli di Mosca pian piano è sceso fino al 9% delle Politiche di settembre. Stesso discorso vale per lo scandalo scoppiato su Fidanza a pochi giorni dalle elezioni per il Comune di Milano: uno può dire ciò che vuole, ma in un modo o nell'altro ha pesato sull'esito di quel voto. Di episodi del genere negli ultimi vent'anni ne sono capitati tanti, dal calvario di Berlusconi alle inchieste che hanno investito Matteo Renzi (basta pensare al can can scatenato sui genitori poi assolti). E ne capiteranno ancora: il processo Open Arms per portare alla sbarra Salvini per il suo operato al Viminale ha una valenza tutta politica.

Si tratta quindi di una costante che pone un problema delicato. Da una parte c'è da salvaguardare l'autonomia dei magistrati come scritto nella Carta. Dall'altra non si può creare un meccanismo perverso per cui spuntano come funghi inchieste che si risolvono nel nulla, non prima però di aver condizionato la vita politica del Paese. È un problema che riguarda la nostra democrazia.

L'organo che più dovrebbe porsi il problema è, appunto, il Csm. Ma il caso Palamara ha svelato il commercio tra le correnti che si svolge a Palazzo dei Marescialli e che ha dato un duro colpo alla credibilità della magistratura. Quello che dovrebbe essere la camera di compensazione dove si risolvono i dissidi tra potere politico e giudiziario si è trasformato nel tempo in un campo di battaglia tra giustizialisti e garantisti spesso impotente o inerme. Già il fatto che il Csm precedente, invece di essere sciolto quando scoppiò il caso Palamara, sia stato prorogato di sei mesi alla scadenza naturale, la dice lunga sui compromessi che si raggiungono in quella sede. Ieri la maggioranza di centrodestra aveva l'occasione per cambiare gli equilibri che regolano quell'organismo, ma il pasticcio consumato sulla candidatura di Giuseppe Valentino, prima proposto da Fratelli d'Italia e poi ritirato per una presunta inchiesta che lo coinvolgerebbe su richiesta dei grillini, rischia di vederla sfumare. C'era cioè la possibilità di avere per la prima volta nella seconda Repubblica un vicepresidente del Csm di orientamento di centrodestra, ma rischia di svanire.

Negli ultimi trent'anni c'è stata un'alternanza tra governi di orientamento diverso, ma il numero due del Csm ha sempre guardato più o meno a sinistra, come l'inquilino del Quirinale. E tutti sanno che l'alternanza è il sale della democrazia.

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