Covid, ecco dov'è la "chiave" per fermare le varianti

Le nuove varianti creano diverse risposte anticorpali, più o meno forti. "Non è fondamentale guardare la quantità ma la qualità degli anticorpi". Ecco cosa ci hanno detto tre esperti

Covid, ecco dov'è la "chiave" per fermare le varianti

La nuova sfida delle grandi case farmaceutiche sarà quella di produrre vaccini che siano in grado di sviluppare anticorpi efficaci contro tutte le varianti del Sars-Cov-2, meglio conosciuto come Covid-19. Questo perché, come andremo a vedere, il nostro sistema immunitario reagisce diversamente se attaccato da un ceppo rispetto ad un altro.

Risposte immunitarie differenti

La variante inglese, quella ormai predominante in Italia ed Europa, anche se più infettiva (cioè più trasmissibile) rispetto al virus originale potrebbe proteggere di meno da eventuali altre infezioni perché gli anticorpi generebbero una risposta immunitaria ristretta; quella sudafricana invece, che da noi è poco diffusa, creerebbe anticorpi più resistenti ed in grado di proteggere da eventuali reinfezioni; discorso simile per quella brasiliana, più aggressiva del ceppo originario ed in grado di ridurre anche l'efficacia dei vaccini. Qua si combatte una doppia battaglia: oltre al campo vaccinale, diventa fondamentale capire qual è la risposta immunitaria se infettati da una variante rispetto ad un altra. Gli studi si moltiplicano ma uno dei più interessanti, pubblicato su Biorxiv e su Nature, dimostrebbe la "forza" e la qualità degli anticorpi provocati da quella sudafricana che innescherebbero "forti risposte immunitarie". È stata la ricercatrice sudafricana Penny Moore tra le prime nel mondo a capire e studiare questo meccanismo e si sta cercando di capire perché e da cosa dipenda questa differenza.

Qualità o quantità di anticorpi?

Quindi, la "chiave" contro le varianti potrebbe essere nascosta nel sistema immunitario? Qual è la variabilità della risposta anticorpale in base alle varianti? "La differenza quantitativa tra la produzione di anticorpi contro variante inglese, brasiliana o sudafricana non può essere 'contata a occhio' ma deve essere messa sullo stesso piano: sono necessari studi in cui si prendono tutti i pazienti infettati dalle diverse varianti e si valuta quantitativamente la produzione degli anticorpi", afferma in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Mario Umberto Mondelli, Ordinario di Malattie Infettive all'Università di Pavia e Direttore dell'Unità Complessa di Malattie Infettive e Immunologia del Policlinico San Matteo. "A noi serve sapere quanto anticorpo viene prodotto o piuttosto la qualità dell'anticorpo prodotto?", si domanda l'esperto che spiega come, durante un'infezione virale come quella del Covid-19 ma anche quando si ha morbillo, epatite, rosolia o una semplice influenza, aumentano tutti gli anticorpi perché c'è un effetto che gli immunologi chiamiamo 'bystander' in cui il sistema immunitario suona la carica ed i linfociti B, che producono gli anticorpi, si mettono a produrli per uno stimolo aspecifico.

Cosa accade con le varianti

"È estremamente difficile dire quanti ne vengono prodotti tra una variante e l'altra, non è fondamentale la quantità ma la qualità", aggiunge Mondelli. Sono più neutralizzanti quelli prodotti dall'inglese o dalla sudafricana o è soltanto un problema relativo al fatto che la sudafricana è maggiormente diversa rispetto alle altre? "In effetti, la variante sudafricana ha più mutazioni rispetto alla variante inglese che, anche se ne ha meno, si è sviluppata per essere più adatta a replicarsi subito ed essere efficiente per entrare nelle cellule. Ogni situazione ha contribuito a selezionare varianti con proprietà diverse ma non starei a concentrarmi sulla quantità ma sulla qualità degli anticorpi così come abbiamo fatto quando abbiamo parlato di vaccini: è migliore Pfizer, Moderna, Astrazeneca, Novavax o j&J? Non lo sapremo fin quando non li metteremo tutti sulla stessa linea per fargli 'correre il gran premio' - afferma l'infettivologo - Gli anticorpi hanno la stessa caratteristica, magari ne vengono fatti pochi ma di ottima qualità mentre un'altra variante può farne sviluppare tanti ma soltanto pochi sono efficaci".

"Risposte anticorpali specifiche"

Ogni variante, in pratica, cambia la modulazione degli anticorpi. "È chiaro che ogni variante virale, soprattutto della Spike, evoca una risposta anticorpale specifica, basti vedere come funzionano gli anticorpi prodotti da una variante precedente rispetto a quelle nuove. Per tutti i vaccini abbiamo usato una 'fotografia' fatta al virus nel 2020 ma poi il virus è cambiato nel corso dell'anno, sia dopo l'estate quando da noi è circolata la variante spagnola, sia dopo con la variante inglese. La risposta anticorpale che le persone infettate precedentemente hanno nei confronti di questa nuova variante è un po' più debole ma non tale da creare problemi in questo momento. L'unica che non risponde bene agli anticorpi è la sudafricana che da noi circola poco", ha detto al nostro giornale il Prof. Massimo Clementi, Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Ospedale San Raffaele di Milano.

Ecco che, i laboratori di tutto il mondo, per capire la qualità degli anticorpi usano il cosiddetto 'gold standard' in cui il virus viene seminato in una coltura cellulare, si moltiplica all'interno di queste cellule e, per valutare l'attività degli anticorpi neutralizzanti, si fanno diverse diluizioni per vedere a quale diluzione minima si riesce a bloccare la replicazione. "È un vecchio test di almeno 40-50 anni fa che consente di vederlo vividamente: questi test si effettuano in stanze di altissima sicurezza come quella che abbiamo a Pavia, pari almeno a livello di sicurezza 3, dedicate alle colturi cellulari di virus pericolosi come il Sars-Cov-2 e quello dell'Hiv. In Italia, soltanto lo Spallanzani e l'Istituto Sacco hanno anche una stanza con livello di sicurezza 4 per virus come l'Ebola. In quell'ambito, vengono effettuati tutti gli esperimenti di neutralizzazione", ci dice Mondelli.

Immunità attiva e passiva

Quindi, dal momento che la risposta anticorpale varia per qualità e quantità, tutto questo dipende dal nostro sistema immunitario che è la "chiave" per bloccare il virus. Come si fa, quindi, a modulare e bloccare l'ingresso del Covid? "Con i vaccini sfruttiamo la capacità attiva del nostro sistema immunitario, andiamo a stimolare in modo specifico i linfociti T e B che sono le due braccia della risposta immunitaria: i linfociti T si occupano delle cellule infette e forniscono un aiuto ai linfociti B per produrre gli anticorpi che, a quel punto, possono essere neutralizzanti ma anche inutili se si attaccano semplicemente alla proteina ma senza alcuna attività neutralizzante". Quindi, è l'ospite (cioè noi) che reagisce in modo specifico rispetto ad una variante o ad un'altra. Attualmente, la gran parte dei vaccini non hanno problemi se non AstraZeneca con la variante sudafricana; anche Moderna e Pfizer sono lievemente meno "robusti" ma ancora molto efficaci. Accanto a quella attiva, però, c'è anche un altro tipo di immunità chiamata passiva che si ha quando vengono trasferiti alti livelli di anticorpi specifici verso un agente patogeno, in questo caso Sars-Cov-2. È il caso degli anticorpi monoclonali usati da Trump e finalmente anche in Italia da alcuni giorni. "Hanno la qualità di essere altamente specifici perché neutralizzano alcune parti ben precise del virus ma, avendo una sola specificità, hanno il difetto che se dovesse esserci una mutazione proprio in quella struttura che loro vanno a riconoscere, questi anticorpi risultano totalmente inefficaci - spiega il Prof. Mondelli - Bisognerebbe trovare anticorpi monoclonali che riconoscano tutte le varianti in quella parte del virus che non muta mai e rimane particolarmente conservata: potrebbe essere il segreto per farli funzionare nel caso in cui riconoscano una sequenza virale molto ben conservata tra tutte le varianti. Stiamo lavorando proprio a questo".

I vaccini "inseguono" il virus

I vaccini ad Rna costruiti sul virus originale necessitano, quindi, di un aggiornamento? "Mi risulta che Pfizer ma soprattutto Moderna stiano lavorando a produrre dei vaccini che contengano sequenze di varianti identificate finora, in particolare quella sudafricana che dà più fastidio. Ritengo che, per fine anno, avremo i nuovi vaccini che somiglieranno alle preparazioni vaccinali dell'influenza, se verrà fuori una variante la inseriranno nel vaccino per la nuova stagione", dice Mondelli. La chiave di tutto è quella di vaccinare il più rapidamente possibile con i vaccini a disposizione per bloccare l'emergenza delle nuove varianti. "Se vogliamo fare un'analogia, è con il virus dell'influenza che ogni anno cambia un po' e c'è la necessità di fare un vaccino un po' diverso perché il virus è cambiato - afferma il Prof. Clementi - Anche questo virus cambierà ma dipende quanto circolerà ancora, è possibile che l'anno prossimo avremo bisogno di un richiamo fatto da un vaccino diverso da quello attuale ma si tratta semplicemente di adeguarlo, tutti i produttori di vaccino hanno dichiarato di poterlo fare in pochissimo tempo". La domanda sorge spontanea: a quale variante dovranno adattarsi maggiormente i nuovi vaccini? "A quella che circola in quel momento che detta legge: se si dovesse produrre un vaccino adesso, si dovrebbe tener conto della variante inglese che è quella che circola di più", sottolinea Clementi.

"Immaginare il peggior scenario possibile"

Per non farci trovare impreparati ed essere pronti in caso di nuova emergenza, "dobbiamo immaginare lo scenario peggiore possibile, è in questo modo che si mettono in moto tutte le risorse che si hanno a disposizione: dobbiamo far presto a completare la vaccinazione ma siamo molto indietro rispetto ad altri Paesi": è quanto afferma al nostro giornale Silvio Garattini, scienziato e farmacologo italiano, Presidente e fondatore dell'Istituto di Ricerche farmacologiche "Mario Negri". Immaginando questo scenario, il Prof. auspica che anche in Italia vengano prodotti i vaccini per non dipendere sempre dalle forniture che arrivano dall'estero. "Potrebbe arrivare una variante insensibile ai vaccini che utilizziamo adesso: anche se non ci sarà bisogno di molto tempo perché questa tipologia di vaccini si producono con più velocità rispetto ad altri, se non li fabbrichiamo noi dovremo sempre aspettare gli altri. Questa è un'altra esigenza che abbiamo", sottolinea lo scienziato.

Se il virus non sparirà dalla faccia della Terra, il problema toccherà sempre da vicino anche noi. "È un problema globale, non soltanto dei Paesi occidentali: avremo bisogno di 10-11 miliardi di dosi per risolverlo. L'occuparsi dei Paesi a basso reddito non è un atto di beneficienza ma è nel nostro interesse: se il virus continuerà a girare potranno esserci anche altre varianti, dobbiamo fare in modo che ci sia una vaccinazione efficace ma devono esserci tanti posti in cui si possano produrre i vaccini altrimenti non riusciremo mai a risolvere il problema che va visto in prospettiva e, nella peggiore ipotesi, che si vada avanti così per parecchi anni e ci si deve organizzare: puntare soltanto sulla nostra immunità è sbagliato - incalza Garattini - l'immunità è come un'orchesta, è formata da una serie di fattori che agiscono.

Se poi le cose andranno meglio avremo delle strutture da utilizzare in caso di altre necessità: non dobbiamo illuderci che non ci siano altre pandemie o altre ragioni per cui non avremo bisogno di vaccini o farmaci di varia natura, poterli fabbricare è sempre un grande vantaggio", conclude.

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