Criticare i magistrati è lecito: assoluzione piena per Ferrara

Nel febbraio del 2014 il pm antimafia Di Matteo aveva querelato Giuliano Ferrara per diffamazione aggravata. Ma i giudici danno ragione al giornalista

Criticare i magistrati è lecito: assoluzione piena per Ferrara

Eh sì, criticare i giudici si può: anche se il magistrato in questione è una sorta di icona dell'Antimafia come il pm palermitano Nino Di Matteo.

Nel febbraio del 2014 Di Matteo aveva querelato Giuliano Ferrara, allora direttore del Foglio, che in un articolo - firmato con la consueta sagoma dell'elefantino - aveva osato scrivere che i colloqui intercettati nel carcere di Opera tra il boss Totò Riina e un altro detenuto erano stati "una spaventosa messa in scena il cui obiettivo è mostrificare il Presidente della Repubblica, calunniare Berlusconi, monumentalizzare Di Matteo e il suo traballante processo". Il "traballante processo" era ovviamente l'interminabile processo alla presunta trattativa Stato-Mafia, avviato da Antonio Ingroia e ora proseguito da Di Matteo.

La conclusione di Ferrara era severa: "Siamo il paese di Massimo Ciancimino, il pataccaro, e delle avventure politiche degli Ingroia, cioè dei colleghi di Di Matteo che cercarono, anche a colpi di interviste di quest'ultimo, di trascinare nella fogna del sospetto il Quirinale. È tollerabile che con simili metodi si possa procedere oltre?". Di Matteo, come è noto, aveva cercato invano di acquisire agli atti del processo alcune telefonate dell'allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano con il senatore Nicola Mancino, ministro degli Interni all'epoca della presunta trattativa e ora sotto processo per favoreggiamento,

La lettura dell'articolo del Foglio aveva suscitato le ire del pm Di Matteo, che aveva sporto querela per diffamazione aggravata contro Giuliano Ferrara chiedendo la condanna del giornalista ad un robusto risarcimento economico. Secondo Di Matteo insinuare che Lorusso, il detenuto che chiacchierava con Riina all'ora d'aria, fosse una sorta di "agente provocatore" mandato dalla Procura era un oltraggio a lui e alla sua funzione.

Ma il giudice Maria Teresa Guadagnino assolve con formula piena il direttore del Foglio. Nelle motivazioni depositate oggi si ricorda che "si tratta pacificamente di un editoriale, ovverossia di un articolo che ha la funzione di esprimere il punto di vista della testata su fatti di rilevante attualità. Il Foglio è un giornale di opinione che esprime un preciso orientamento politico e culturale, e nel caso dell'articolo in esame il direttore fa delle considerazioni critiche relativamente a tali fatti, così esprimendo delle idee non suscettibili di essere valutate come vere o false. Non si tratta di un articolo di cronaca giudiziaria ma di una riflessione sulle implicazioni del processo Stato Mafia".

Secondo il giudice, "il diritto di critica si concretizza nella espressione di un giudizio o piu genericamente di una opinione che come tale non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata sulla interpretazione. La libertà riconosciuta dall'articolo 21 della Costituzione di manifestazione del pensiero e di formulazione di critica nei confronti di chi esercita funzioni pubbliche comprende il diritto di critica giudiziaria, ossia l'espressione di dissenso anche aspro e veemente nei confronti dell'operato di magistrati i quali, in quanto tali, non godono di alcuna immunità, nonchè degli atti da costoro compiuti".

L'unico limite sono gli "attacchi personali diretti a colpire su un piano individuale la figura orale del giudice". Ma questo non è certo accaduto. D'altronde molti dei fatti esposti da Ferrara sono veri: che Lorusso fosse un agente provocatore lo aveva scritto senza venire querelata La Repubblica un anno prima. E nel suo articolo Ferrara attribuisce l'arruolamento del provocatore non a Di Matteo ma a "settori oscuri dello Stato". Quanto ai tentativi di trascinare nel fango il Quirinale, la sentenza ricorda che proprio Di Matteo era finito sotto procedimento disciplinare (poi archiviato) per una intervista in cui "aveva comunque messo in cattiva luce l'allora Presidente della Repubblica".

Conclude la sentenza: "il giornalismo scomodo e polemico di Ferrara non persegue l'obiettivo di ledere l'onore e la reputazione della persona offesa ma

solo quello di criticare e disapprovare alcuni fatti e comportamenti connessi al processo che ancora si sta svolgendo presso la Corte d'assise di Palermo". Pertanto Ferrara va assolto "perchè il fatto non costituisce reato".

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